LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE SUPREMA BRASILIANA NEL BIENNIO 2012-2013
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LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE SUPREMA BRASILIANA NEL BIENNIO 2012-2013

LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE SUPREMA BRASILIANA NEL BIENNIO 2012-2013

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La giurisdizione costituzionale in Brasile: aspetti generali. – 2.1. Il sistema di controllo: coesistenza del modello europeo e statunitense. – 2.2. Parametro di controllo: quali sono le norme costituzionali in Brasile? – 2.3. Il Supremo Tribunale Federale (STF): composizione e funzionamento. – 3. La giurisprudenza del STF nel biennio 2012-2013. – 3.1. Diritti fondamentali. – 3.1.1 Legge “Maria da Penha”: la questione della violenza domestica. – 3.1.2. Il reato d’aborto e l’interruzione della gravidanza in caso di feti anencefalici. – 3.1.3. Azione positiva: riserva di posti nelle università. – 3.2. Organizzazione dello Stato e dei poteri. – 3.2.1. I Precatórios e l’Emendamento Truffa. – 3.2.2. Controllo preventivo: iter parlamentare dei progetti presso il Congresso Nazionale. – 3.2.3. Concorso tra leggi e separazione dei poteri. – 3.2.4 Iter delle Medidas Provisórias. – 3.3. Garanzie costituzionali nel processo penale. – 3.3.1. Azione Penale n. 470: il Processo del Mensalão. 3.3.2. Gli Embargos Infringentes e la possibilità di esecuzione immediata di condanne definitive. – 3.4. Diritti Politici. – 3.4.1. Il Sindaco itinerante. – 3.4.2. La Legge della Fedina Penale Pulita.  – 4. Conclusioni.

1 – Introduzione

Negli ultimi anni, in particolare dopo l’avvento della Costituzione Federale del 1988, il Supremo Tribunale Federale (STF) ha assunto un ruolo istituzionale inedito nella vita politico-giuridica brasiliana, inserendo la giurisprudenza nazionale nel contesto dei temi più discussi e studiati dalla scienza giuridica in Brasile.

 

(*) Il presente saggio è frutto di comuni discussioni e riflessioni. Tuttavia i capitoli 1, 2 e 4 vanno attribuiti a Carlos Bastide Horbach e il capitolo 3 a Fernanda Mathias de Souza Garcia.  

 

In tal modo, il ruolo da protagonista svolto dal STF nell’ambito di diverse questioni polemiche ha conseguentemente gettato nuova luce sul risultato del suo compito interpretativo del testo costituzionale brasiliano. Tale circostanza, ancorché involontariamente, implica una naturale comparazione con la formazione della giurisprudenza costituzionale nei sistemi giuridici di altri paesi che influiscono, per diverse ragioni, sullo sviluppo del diritto costituzionale nazionale.

 

In tale prospettiva, la presente relazione si presenta come un’importante opportunità di esporre alla comunità giuridica internazionale il modo attraverso il quale il Supremo Tribunale Federale attua, nell’esercizio delle proprie competenze, nell’ambito della giurisdizione costituzionale, rendendo possibile l’avvio di un dialogo accademico e istituzionale che racchiude le potenzialità di perfezionare il crescente influsso delle esperienze straniere sulla giurisprudenza costituzionale brasiliana.

 

A questo fine, saranno inizialmente presentati gli aspetti generali della giurisdizione costituzionale brasiliana (capitolo 2), affinché si possa comprendere il contesto istituzionale nel quale sono state proferite le decisioni che, successivamente, saranno analizzate in dettaglio (capitolo 3).

 

2 – La giurisdizione costituzionale in Brasile: aspetti generali.

Prima di esporre in modo dettagliato le principali sentenze che sono state proferite dal Supremo Tribunale Federale nel corso del biennio 2012-2013, è necessario presentare, ancorché a grandi linee, alcuni rilevanti aspetti del sistema di giurisdizione costituzionale brasiliano.

 

Tale panorama generale del modo attraverso il quale viene esercitata, in Brasile, la giurisdizione costituzionale può essere sintetizzato in tre grandi aspetti: la coesistenza dei modelli diffuso e accentrato, per quanto riguarda il controllo di legittimità costituzionale (paragrafo 2.1); l’estensione della Costituzione brasiliana, caratteristica che definisce i parametri di controllo che incidono sulle norme ordinarie (paragrafo 2.2); e, infine, come è strutturato e come funziona il Supremo Tribunale Federale (paragrafo 2.3).

 

2.1 – Il sistema di controllo: coesistenza del modello europeo e statunitense.

Il controllo giudiziale di legittimità costituzionale delle leggi sorge, in Brasile, nel 1889 con la proclamazione della Repubblica. Prima, durante la vigenza della Costituzione imperiale (1824-1889), esisteva un sistema abbastanza sviluppato di controllo di legittimità costituzionale delle leggi emanate dalle province dell’Impero, nel quale il Consiglio di Stato, organo consultivo dell’Imperatore di carattere giuridico e politico, raccomandava all’Assemblea Generale, organo cui era attribuito il Potere Legislativo durante l’Impero, l’annullamento dell’atto normativo, spettando a quest’ultima l’approvazione di una legge che lo rendesse inapplicabile.

 

Frattanto, durante la vigenza della Costituzione del 1824, non è mai stata riconosciuta al Potere Giudiziario la competenza per l’esercizio del controllo di costituzionalità delle leggi. Tale facoltà gli verrà attribuita solo nei primi mesi del regime repubblicano e più precisamente con la pubblicazione del Decreto n. 848 del 1890, che ha regolato l’organizzazione della Giustizia Federale in Brasile.  

 

Tale testo normativo può essere considerato il punto di partenza della giurisdizione costituzionale brasiliana, poiché definiva i poteri del Supremo Tribunale Federale, incluso quello di esaminare la validità degli atti alla luce della Costituzione, come risulta da quanto disposto – secondo la tecnica legislativa di allora – al paragrafo unico del comma II dell’art. 9:

 

“Paragrafo unico. Sarà inoltre ammesso il ricorso presso il Supremo Tribunale Federale avverso alle sentenze definitive proferite dai tribunali e dai giudici degli Stati:

  1. a) quando la decisione sia stata contraria alla validità di un trattato o convenzione, all’applicabilità di una legge del Congresso Federale e, infine, alla legittimità d’esercizio da parte di qualsiasi autorità che abbia agito in nome dell’Unione, qualunque sia la sua competenza;
  2. b) quando la validità di una legge o di un atto di qualunque Stato venga posta in discussione, poiché contraria alla Costituzione, ai trattati e alle leggi federali e la contestuale decisione sia risultata favorevole alla validità di tale legge o atto;
  3. c) quando l’interpretazione di un precetto costituzionale o di una legge federale, ovvero, di una clausola di un trattato o convenzione venga posta in discussione e la decisione finale sia stata contraria alla validità del titolo, diritto e privilegio o esenzione, derivante dal precetto o clausola”.

 

È interessante notare che il Decreto n. 848 è anteriore alla Costituzione del 1891, primo testo costituzionale repubblicano. Tuttavia, già dal 1890 era in vigore il Decreto n. 510, che aveva istituito una Costituzione provvisoria per il paese, a partire dalla quale sarebbe stato elaborato da parte del Congresso Costituente il testo costituzionale promulgato nel 1891.

 

La giurisdizione costituzionale brasiliana nasce, pertanto, sotto il forte influsso del diritto straniero, in particolare di quello statunitense, come ben evidenziato dall’art. 386 del Decreto n. 848, in base al quale “gli statuti dei popoli civilizzati e, in particolare, quelli che regolano le relazioni giuridiche nella Repubblica degli Stati Uniti dell’America del Nord, i casi di common law e equity, costituiranno anch’essi strumenti sussidiari della giurisprudenza e del processo federale”.

 

Dinnanzi al brusco inserimento di istituzioni repubblicane e presidenzialiste in un ambiente culturale da troppi anni influenzato da prassi costituzionali monarchiche e parlamentari, era naturale che la dottrina e la giurisprudenza di paesi competenti in tali “novità” costituissero la fonte immediata e affidabile ai fini dell’interpretazione e applicazione dell’ordinamento costituzionale della Repubblica.

 

Così, sin dal 1890, il Brasile possiede un modello di giurisdizione costituzionale che, essenzialmente, riproduce il sistema statunitense: ogni giudice, nell’esercizio della propria giurisdizione, può dichiarare l’incostituzionalità di una legge, qualora tale questione sia imprescindibile per la soluzione della controversia sottoposta alla sua attenzione. Si tratta di un sistema diffuso, tenuto conto che tutti gli organi giudiziari possono esercitare la giurisdizione costituzionale, nonché incidentale, poiché quella costituzionale è una questione incidentale posta ai fini della soluzione della materia processuale principale, oggetto dell’azione, in cui l’efficacia delle decisioni è inter partes, essendo limitata alle parti del processo.

 

All’importazione del modello americano di controllo di legittimità costituzionale, però, non è seguito l’inserimento nel diritto brasiliano di uno degli aspetti più importanti del sistema giuridico del common law, ovvero, la regola del precedente, lo stare decisis. Su questa base, benché il Supremo Tribunale Federale avesse il potere di decidere in ultima istanza circa la costituzionalità o meno delle leggi, le sue decisioni non venivano – in molti casi, non lo sono tuttora – obbligatoriamente osservate da parte degli organi giudiziari di grado inferiore.

 

In tale prospettiva, l’evoluzione del sistema brasiliano del controllo di costituzionalità è proseguita esattamente nel senso di renderlo più coerente, attraverso l’imposizione degli orientamenti dell’organo di vertice rispetto agli altri organi del Potere Giudiziario. La prima tappa di tale percorso evolutivo è occorsa con la seconda costituzione repubblicana, promulgata nel 1934, la quale ha attribuito al Senato Federale il potere di sospendere, integralmente o in parte, l’efficacia delle leggi dichiarate incostituzionali dal Supremo Tribunale Federale (art. 91, comma IV della Costituzione del 1934, corrispondente all’art. 52, comma X dell’attuale Costituzione del 1988). In questo contesto, quando dichiara l’incostituzionalità di una legge, il Supremo Tribunale Federale  notifica il Senato Federale, affinché pubblichi una risoluzione che sospenda, in modo generale, l’efficacia di tale legge, che non potrà più essere applicata in tutto il territorio nazionale.

 

La seconda tappa evolutiva è avvenuta il 26 novembre 1965, con la pubblicazione dell’Emendamento n. 16 alla Costituzione del 1946, il quale ha istituito la cosiddetta representação de inconstitucionalidade. Attraverso tale atto, il Procuratore Generale della Repubblica – titolare del Pubblico Ministero Federale, competente presso il Supremo Tribunale Federale – poteva richiedere la dichiarazione di incostituzionalità di una legge direttamente all’organo apicale del Potere Giudiziario, la cui decisione favorevole all’accoglimento della richiesta comportava la soppressione della norma dichiarata incostituzionale. Con tale innovazione, si è inaugurata nel sistema brasiliano di controllo di legittimità costituzionale una modalità di controllo astratto, ovvero, dissociato da un caso concreto, nonché accentrato, tenuto conto che il solo STF era competente a giudicare la richiesta mediante una decisione che, come si è visto, aveva efficacia generale.

 

Quasi dodici anni dopo, il 13 aprile 1977, è stato promulgato l’Emendamento n. 7 alla Costituzione del 1967, che ha istituito la representação interpretativa, attraverso la quale il Procuratore Generale della Repubblica poteva richiedere che il Supremo Tribunale Federale determinasse quale fosse l’adeguata interpretazione costituzionale di una norma legale. L’interpretazione definita dal STF doveva essere osservata da tutti gli altri organi del Potere Giudiziario, poiché era dotata di “forza vincolante”.   

 

L’Assemblea Nazionale Costituente del 1987 e 1988 si è così trovata a operare in un contesto nel quale già convivevano, nell’ordinamento giuridico brasiliano, i sistemi di controllo di costituzionalità statunitense e europeo; era, quindi, naturale che venisse mantenuta tale coesistenza, come effettivamente avvenne. In questo modo, la Costituzione promulgata il 5 ottobre 1988 continuò a prevedere la possibilità che qualsiasi giudice dichiarasse l’incostituzionalità delle leggi, riservando al Supremo Tribunale Federale, in sede di ricorso, la responsabilità di conferire unità e coerenza a tale funzione del Potere Giudiziario nel suo complesso; il testo costituzionale vigente ha, inoltre, mantenuto la possibilità di adire direttamente il Supremo Tribunale Federale per il controllo astratto.

 

Luís Roberto Barroso sintetizza in questo modo la disciplina costituzionale del 1988 in merito al controllo di legittimità costituzionale delle leggi:

 

“La Costituzione del 1988 ha mantenuto il sistema eclettico, ibrido o misto, associando al controllo in via incidentale e diffuso (sistema americano), presente sin dall’inizio della Repubblica, il controllo in via principale e accentrato, introdotto dall’Emendamento Costituzionale n. 16 del 1965 (sistema continentale europeo). Ha, tuttavia, comportato un insieme relativamente ampio di innovazioni, con importanti conseguenze pratiche, tra le quali si possono evidenziare le seguenti: a) ampliamento della legittimazione attiva per proporre l’azione diretta di incostituzionalità (art. 103); b) introduzione di meccanismi di controllo dell’incostituzionalità per omissione, come l’azione diretta con tale obiettivo (art, 103, § 2) e l’ordine ingiuntivo (art. 5, comma LXXI); c) reintroduzione dell’azione diretta di incostituzionalità nell’ambito dei singoli Stati federati, denominata ‘representação de incostitucionalidade’ (art.125, § 4); d) previsione di un meccanismo di ricorso contro la violazione di un precetto fondamentale (art. 102, § 1); e) limitazione del ricorso straordinario alle questioni costituzionali (art. 102, comma III)”.

 

Cinque anni dopo la promulgazione della Costituzione del 1988, con l’Emendamento n. 3, è stata introdotta un’ulteriore innovazione: l’azione dichiaratoria di costituzionalità. Attraverso questo tipo di azione, è possibile richiedere che il Supremo Tribunale Federale dichiari la compatibilità di una legge con la Costituzione, quando tale legge sia oggetto di una rilevante controversia giudiziaria in merito alla sua costituzionalità. La decisione del STF in sede di azione dichiaratoria di costituzionalità ha effetto vincolante e quanto da essa stabilito dovrà obbligatoriamente essere osservato da parte degli organi giudiziari e dalla Pubblica Amministrazione.

 

Nel 1999 sono state pubblicate due importanti leggi in materia di regolamentazione del controllo di legittimità costituzionale in Brasile. La prima, la Legge n. 9.868, regola il processo delle azioni dirette di incostituzionalità e delle azioni dichiaratorie di costituzionalità presso il Supremo Tribunale Federale. Tale legge ha introdotto due innovazioni estremamente rilevanti: innanzitutto, ha esteso alle decisioni relative alle azioni dirette di incostituzionalità gli effetti vincolanti che fino allora esistevano solo per le azioni dichiaratorie di costituzionalità; inoltre, ha previsto la possibilità che il Supremo Tribunale Federale, con voto di almeno due terzi dei suoi membri, moduli nel tempo le decisioni di incostituzionalità, consentendo che la nullità della legge incostituzionale venga relativizzata in ordine alla sicurezza giuridica o all’interesse sociale.

 

La seconda legge pubblicata nel 1999 è la Legge n. 9.882, con la quale è stato regolato il ricorso contro la violazione di un precetto fondamentale, trasformando tale istituto in una vera e propria azione diretta rivolta all’impugnazione di atti statali che non potrebbero essere oggetto dell’azione diretta di incostituzionalità o dell’azione dichiaratoria di costituzionalità. In tal modo, è oggi possibile portare innanzi al STF la discussione in merito alla costituzionalità delle leggi municipali, delle decisioni giudiziali e dei decreti di natura regolamentare, solo per citare alcuni esempi.

 

Con la pubblicazione dell’Emendamento Costituzionale n. 45 del 30 dicembre 2004, il modello di controllo di costituzionalità brasiliano è finalmente giunto alla sua configurazione attuale. Il citato emendamento alla Costituzione del 1988 ha ampliato il numero dei soggetti dotati di legittimazione processuale attiva per proporre l’azione dichiaratoria di costituzionalità, ha limitato la proposizione del ricorso straordinario ai casi caratterizzati da ripercussione generale e ha attribuito al Supremo Tribunale Federale la possibilità di pubblicare precedenti vincolanti, attraverso i quali alcuni orientamenti giurisprudenziali sono divenuti obbligatori per il Potere Giudiziario e per la Pubblica Amministrazione.

 

Quanto descritto in rapida sintesi nel presente capitolo, dimostra, in modo immediato, quale sia la complessità del sistema brasiliano di controllo di legittimità costituzionale, che accanto alla coesistenza del modello statunitense e europeo prevede diversi ulteriori strumenti processuali, utili al confronto tra gli atti normativi e la Costituzione. Tale pluralità di percorsi processuali produce, ovviamente, un grande volume di richieste rivolte al STF e tale situazione è intensificata dalla natura analitica della Costituzione del 1988, come si avrà modo di vedere più avanti.

 

2.2 – Parametro di controllo: quali sono le norme costituzionali in Brasile?

La dinamica della giurisdizione costituzionale in Brasile è particolarmente influenzata dalla natura della Costituzione del 1988. È una costituzione analitica, ovvero, una costituzione fortemente dettagliata, che dispone in merito ai più svariati temi e trascende l’elenco delle materie tradizionalmente associate all’organizzazione dello Stato e alla dichiarazione dei diritti e garanzie fondamentali.

 

Poiché la Costituzione del 1988 è estremamente dettagliata e lunga, lo standard di controllo di legittimità costituzionale in Brasile è anch’esso ugualmente ampio; tale circostanza dilata il campo della giurisdizione costituzionale. L’equazione è semplice: un testo costituzionale lungo riduce la libertà discrezionale del legislatore ordinario, aumentando la possibilità che le leggi che quest’ultimo promuove denotino vizi di incostituzionalità.

 

Le norme costituzionali brasiliane comprendono almeno quattro specie di disposizioni: le norme del testo costituzionale permanente, le disposizioni costituzionali transitorie, le norme isolate inserite negli emendamenti costituzionali e i trattati in materia di diritti umani, cui l’ordinamento brasiliano attribuisce valore costituzionale.

 

Il testo permanente della Costituzione del 1988 è composto da 255 articoli, molti dei quali sono suddivisi in vari commi. L’articolo 5, per esempio, il quale enumera le libertà individuali, racchiude 78 commi. L’articolo 37, che dispone in merito alla Pubblica Amministrazione, ha 22 commi e 12 paragrafi. A loro volta, le Disposizioni Costituzionali Transitorie (ADCT), composte da 100 articoli, avrebbero dovuto disciplinare le questioni relative alla transizione dal regime costituzionale del 1967 a quello in vigore dal 1988.  Ciò nonostante, nuove materie sono state introdotte nelle disposizioni transitorie, attraverso diversi emendamenti. È il caso degli articoli 54-A e 92-A, rispettivamente inseriti nel testo delle Disposizioni Costituzionali Transitorie dagli Emendamenti Costituzionali n. 78 e n. 83, entrambi promulgati nel 2014. Quelle contenute nelle Disposizioni Costituzionali Transitorie sono a tutti gli effetti norme costituzionali e sono di conseguenza utilizzate come parametro ai fini del controllo di legittimità costituzionale delle leggi.

 

Nella prassi legislativa brasiliana esiste, inoltre, un fenomeno curioso: alcuni emendamenti costituzionali non si limitano ad alterare il testo permanente della Costituzione o le Disposizioni Costituzionali Transitorie, ma racchiudono norme specifiche, che entrano in vigore come norme indipendenti dal testo dell’emendamento costituzionale stesso. È, per esempio, il caso dell’art. 11 dell’Emendamento Costituzionale n. 20 del 1998, il quale regola – senza esser stato incorporato al testo permanente o alle ADCT – la possibilità di accumulare una pensione pagata dalle casse dello Stato e lo stipendio per l’esercizio di un incarico presso pubblica amministrazione, per il quale il dipendente pubblico in pensione sia stato assunto mediante concorso. Ci sono situazioni in cui nuovi emendamenti costituzionali alterano tali norme indipendenti contenute negli stessi emendamenti, come è recentemente occorso con l’Emendamento Costituzionale n. 79 del 27 maggio 2014, che ha modificato l’art. 31 dell’Emendamento Costituzionale n. 19 del 1998.   

 

L’Emendamento Costituzionale n. 45 del 2004 ha, infine, inserito un nuovo paragrafo all’art. 5º della Costituzione. Sulla base del § 3 dell’art. 5, i trattati in materia di diritti umani, che siano incorporati all’ordinamento brasiliano seguendo le stesse formalità richieste per l’approvazione di un emendamento costituzionale, acquisiranno il valore di norma costituzionale. Sino ad ora, un solo trattato è stato incorporato seguendo le stesse formalità. Si tratta della Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità, promulgata mediante il Decreto n. 6.949 del 25 agosto 2009. Su tale base, i 50 articoli che compongono la menzionata convenzione e i 18 articoli del contestuale protocollo sono entrati in vigore in Brasile con valore di norme costituzionali, potendo essere utilizzati come parametro ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi.

 

La pluralità di norme costituzionali in Brasile ha spinto il Supremo Tribunale Federale a sostenere l’esistenza di un “blocco di costituzionalità” brasiliano, sulla base dell’idea sorta nell’ambito del costituzionalismo francese. In occasione del giudizio dell’Azione Diretta di Incostituzionalità (ADI) n. 514, il Supremo Tribunale Federale ha sottolineato l’importanza di una definizione adeguata del blocco di costituzionalità ai fini di un corretto esercizio del controllo di legittimità costituzionale, in questo modo:

 

“La definizione del significato del blocco di costituzionalità – indipendentemente dalla portata sostanziale che gli venga riconosciuta (Costituzione scritta o ordinamento costituzionale globale) – assume importanza fondamentale nel processo di controllo normativo astratto, poiché l’esatta indicazione concettuale di tale categoria giuridica s’impone come fattore determinante del carattere costituzionale o meno degli atti statali, contestati in rapporto alla Costituzione” (ADI 514, Giudice Relatore Celso de Mello, decisione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20.03.2008).

 

In Brasile, quindi, esiste un universo abbastanza ampio di norme costituzionali, che è allo stesso tempo instabile. Il fatto è che nonostante il testo costituzionale preveda un rito differenziato e volutamente complesso per la modifica del testo costituzionale, gli emendamenti alla Costituzione sono comuni nel processo legislativo brasiliano.

 

Fino ad oggi, trascorsi 26 anni dalla promulgazione della Costituzione del 1988, sono stati approvati 83 emendamenti costituzionali, ai quali ne vanno aggiunti altri 6, denominati emendamenti di revisione, approvati durante lo specifico periodo di revisione costituzionale previsto all’art. 3 delle Disposizioni Costituzionali Transitorie.

 

L’eccessivo numero di emendamenti costituzionali costituisce, certamente, il riflesso del carattere analitico del testo costituzionale del 1988, che ha portato in ambito costituzionale materie che, normalmente, sarebbero oggetto di leggi ordinarie. In tal modo, la modifica di questioni di minor importanza, inerenti, per esempio, al regime giuridico dei dipendenti pubblici o alle garanzie previdenziali, richiede un emendamento alla Costituzione. Tant’è che si è giunti ad affermare che in Brasile non si governa attraverso le leggi, ma mediante emendamenti alla Costituzione.

 

La facilità con cui viene modificato il testo costituzionale in Brasile pone sotto scacco la rigidità stessa della Costituzione del 1988, quantomeno sul piano sostanziale, dato che, dal punto di vista formale, si segue un procedimento differenziato e complesso per la pubblicazione degli emendamenti.

 

Ciò comporta che non di rado un processo di controllo di legittimità costituzionale perda il proprio oggetto a causa della sopraggiunta modifica dello standard di controllo. La giurisprudenza del STF denota, quindi, che la modifica della norma costituzionale che abbia motivato la richiesta di dichiarazione di incostituzionalità è pregiudiziale al processo di controllo accentrato, il quale non potrà più essere esercitato e le questioni controverse irrisolte potranno essere analizzate esclusivamente attraverso il controllo di costituzionalità diffuso.  

 

2.3 – Il Supremo Tribunale Federale (STF): composizione e funzionamento.

Il Supremo Tribunale Federale brasiliano è composto da 11 giudici che vengono indicati con il titolo di “Ministro” e sono nominati dal Presidente della Repubblica successivamente all’approvazione della loro indicazione da parte del Senato Federale. I nominati devono avere età compresa tra i 35 e i 65 anni e devono possedere, in conformità ai requisiti previsti dalla Costituzione, notevole sapere giuridico e reputazione irreprensibile (art. 101 della Costituzione del 1988). I ministri del STF, ancorché il loro incarico sia vitalizio, lasciano l’esercizio delle proprie funzioni al compimento del settantesimo anno di età, in virtù del pensionamento obbligatorio.

 

Il procedimento di nomina dei magistrati della Suprema Corte brasiliana segue il modello della sua matrice istituzionale, ovvero, quello della Suprema Corte degli Stati Uniti d’America. Tuttavia, contrariamente a quanto avviene presso il Senato nordamericano, il Senato brasiliano non possiede la tradizione di eseguire un controllo rigido delle nomine al Supremo Tribunale Federale, poiché la verifica dei candidati, il più delle volte, costituisce una mera formalità. Nel corso della storia repubblicana brasiliana solo cinque indicazioni sono state rigettate dal Senato, tutte durante il mandato del Presidente Floriano Peixoto (1891-1894).

 

Nel biennio 2012-2013 sono stati nominati presso il Supremo Tribunale Federale due magistrati: i Ministri Teori Zavascki e Luís Roberto Barroso.   

 

Il Supremo Tribunale Federale opera attraverso tre organi giurisdizionali: il Plenum, composto dai suoi 11 ministri, e due Sezioni giudicanti, ciascuna composta da 5 ministri e alle quali il Presidente del Tribunale non partecipa. Le competenze di ognuno di tali organi giurisdizionali sono definite dal Regolamento Interno del STF. Può accadere che un processo venga sottoposto direttamente al Plenum, qualora i membri di una Sezione deliberino in tal senso.

 

Le sentenze analizzate nel corso di questo studio sono, nella loro maggioranza, quelle proferite dal Plenum, tenuto conto che solo questo organo giurisdizionale può dichiarare l’incostituzionalità delle leggi, sulla base della riserva inserita all’articolo 97 della Costituzione del 1988. Tra l’altro, costituisce una prassi consolidata il fatto che i temi polemici o che non siano ancora stati trattati dal STF vengano inizialmente esaminati dal Plenum.

 

Normalmente, i processi protocollati presso il Supremo Tribunale Federale vengono distribuiti tra i 10 ministri che compongono le Sezioni. Da tale distribuzione generale è escluso il Presidente, al quale sono affidate specifiche competenze giurisdizionali. Il ministro al quale sia stato attribuito il processo ne diviene “relatore” e inizia a svolgere importanti funzioni nella conduzione del processo stesso. Il giudice relatore è responsabile dell’esame dei documenti inseriti agli atti e della valutazione preliminare delle condizioni che consentono l’analisi da parte del STF della domanda, dal momento che il giudice relatore ha facoltà di negare, con decisione monocratica,  il proseguimento di un processo che non presenti i contestuali requisiti legali o regolamentari. Trattandosi di una materia per la quale già esista giurisprudenza consolidata presso il Supremo Tribunale Federale, il giudice relatore può decidere monocraticamente nel merito l’esito del processo, dovendo sottoporre all’attenzione dei colleghi la propria decisione solamente in caso di impugnazione della stessa.

 

Spetta, inoltre, al giudice relatore la responsabilità di decidere la data del giudizio del processo, inserendolo nella lista dei processi che dovranno essere esaminati dal Plenum o da una delle Sezioni, compatibilmente con l’agenda elaborata da parte del rispettivo Presidente.

 

All’apertura dell’udienza il giudice relatore assume l’importante funzione di informare gli altri ministri in merito alla controversia presente agli atti in esame, esponendo tutte le questioni processuali incidentali e le richieste formalizzate dalle parti. Presentata la relazione, gli avvocati delle parti hanno a disposizione di regola 15 minuti per i loro interventi, cui segue il voto del giudice relatore. Concluso il voto da parte di quest’ultimo, inizia la fase di dibattimento o l’immediata pronuncia dei voti da parte degli altri ministri i quali, qualora insorgano dubbi in relazione alla causa, possono avocare a sé gli atti del processo, posticipando la chiusura del giudizio ad un’ulteriore sessione.

 

Se tutti i ministri manifestano il proprio voto, il Presidente dichiara il risultato del giudizio. Se rientra tra i ministri che abbiano espresso il voto maggioritario, spetta al giudice relatore redigere la sentenza, che presso il Supremo Tribunale segue il modello seriatim, poiché deve riunire, una dopo l’altra, tutte le posizioni espresse dai giudici in merito al processo. Se quello del relatore rientra tra i voti di minoranza, la redazione della sentenza toccherà al ministro che per primo abbia pronunciato il voto risultato maggioritario.

 

Con riferimento allo svolgimento dei processi presso il Supremo Tribunale Federale, è importante, infine, segnalare che essi avvengono pubblicamente, ovvero, i ministri discutono e deliberano nel corso di udienze aperte al pubblico, alla presenza delle parti e dei rispettivi avvocati. Le udienze sono trasmesse attraverso un’emittente radiofonica e televisiva del servizio pubblico denominata TV Justiça, controllata dal STF e istituita nel 2002 con l’obbiettivo di divulgare e democratizzare i lavori del Potere Giudiziario.

 

Per quanto concerne le attribuzioni, la Costituzione del 1988, seguendo gli orientamenti dei testi costituzionali che l’hanno preceduta, ha conferito al STF un numero abbastanza grande di competenze, elencate all’art. 102. Basicamente, tali competenze possono essere suddivise in esclusive o in via di ricorso, che insieme finiscono per conferire alla Suprema Corte brasiliana il potere di deliberare in merito a più di 30 differenti tipologie di giudizio.

 

Per esempio, compete esclusivamente al Supremo Tribunale Federale deliberare nell’ambito dei processi penali che vedano coinvolti i parlamentari, il Presidente e il Vice Presidente della Repubblica, i suoi stessi membri e il Procuratore Generale della Repubblica (art. 102, comma I, lettera b della Costituzione), nonché nell’ambito delle controversie tra l’Unione e gli Stati federati (art. 102, comma I, lettera f della Costituzione).

 

A sua volta, la competenza in via di ricorso si suddivide in ordinaria e straordinaria. Quest’ultima assume rilevanza maggiore in relazione al presente studio. Infatti, le controversie sulla legittimità costituzionale avviate nelle istanze inferiori giungono al STF attraverso il Ricorso Straordinario (RE), previsto al comma III dell’art. 102 della Costituzione del 1988.  

 

Il ricorso straordinario, storicamente, costituisce la tipologia di giudizio che più impegna i lavori del Supremo Tribunale Federale. Nel biennio 2012-2013, oggetto della presente ricerca, sono stati protocollati presso la cancelleria del Tribunale 119.178 ricorsi straordinari (RE) o impugnazioni delle decisioni del Tribunale di grado inferiore che abbia rigettato l’invio al STF del ricorso straordinario stesso (ARE), di cui 114.461 sono stati giudicati.

 

Con l’entrata in vigore dell’Emendamento Costituzionale n. 45 del 2004, il Supremo Tribunale Federale ha potuto iniziare ad avvalersi di uno strumento di razionalizzazione della propria competenza in via di ricorso straordinario, attraverso l’istituto della ripercussione generale. Come disposto dal paragrafo 3 dell’art. 102, “in occasione del ricorso straordinario, il ricorrente dovrà dimostrare la ripercussione generale delle questioni costituzionali oggetto della controversia, nei termini stabiliti dalla legge, affinché l’ammissibilità del ricorso possa essere esaminata dal Tribunale, che potrà rigettarlo con il quorum minimo dei due terzi dei propri membri”.

 

In tal modo, il Supremo Tribunale Federale ha acquisito la facoltà di rigettare l’esame di quei ricorsi in cui la ripercussione non sia rilevante per il diritto brasiliano. A sua volta, il Codice di Procedura Civile, attraverso gli articoli 543-A e 543-B, ha determinato un rito processuale specifico per i ricorsi nei quali la ripercussione generale sia stata accolta, in particolare nei casi in cui la questione giuridica in lite possa ripetersi in differenti ulteriori ricorsi.

 

In occasione del giudizio di tali ricorsi straordinari con ripercussione generale, il Supremo Tribunale Federale ammette la partecipazione degli amici curiae, dal momento che la decisione in essi proferita avrà effetti che vanno al di là delle parti coinvolte nella relazione processuale soggettiva. Nei casi con ripercussione generale, la delibera del STF è applicata a tutti i processi che presentino identico fondamento giuridico, sia quelli in giudizio presso la Suprema Corte, sia quelli in corso presso i Tribunali di grado inferiore e in attesa della decisione dell’organo apicale del Potere Giudiziario brasiliano.

 

Per quanto riguarda le competenze esclusive, le tipologie di giudizio più rilevanti, nel contesto della presente ricerca, sono l’azione diretta di incostituzionalità (ADI), l’azione diretta di incostituzionalità per omissione (ADO), l’azione dichiaratoria di costituzionalità (ADC) e il ricorso contro la violazione di un precetto fondamentale (ADPF).

 

L’ADI, l’ADO, l’ADC e l’ADPF sono azioni che vengono avviate direttamente presso il Supremo Tribunale Federale, accentrando presso la Corte il controllo astratto di legittimità costituzionale.

 

In tali giudizi, i soggetti dotati di legittimazione processuale attiva, enumerati all’art. 103 della Costituzione Federale, sono gli stessi; ciò che li rende differenti è l’oggetto.

 

Attraverso le azioni dirette di incostituzionalità possono essere messi in discussione leggi o provvedimenti normativi federali e dei singoli stati. Con le azioni dichiaratorie di costituzionalità può essere richiesta la conferma della legittimità di leggi o provvedimenti normativi federali. Le azioni dirette di incostituzionalità per omissione servono a identificare le omissioni incostituzionali da parte di autorità dei singoli Stati o federali, sia in ambito legislativo, sia in quello amministrativo. E mediante i ricorsi contro la violazione di un precetto fondamentale è posto in discussione qualsiasi provvedimento di un’autorità appartenente ai diversi livelli della federazione brasiliana e, in questo caso, anche i provvedimenti anteriori alla Costituzione del 1988.   

 

Le decisioni con le quali sono accolte le domande presentate attraverso l’ADI e l’ADPF comportano la dichiarazione di incostituzionalità dei provvedimenti esaminati dal STF, mentre le sentenze proferite in occasione dell’ADC attestano la conformità dei provvedimenti normativi federali al testo costituzionale.

 

Gli effetti di tali decisioni sono sempre erga omnes e vincolanti e per tale ragione non possono non essere rispettate da parte degli altri organi giudiziari e da parte della Pubblica Amministrazione.

 

Per quanto riguarda l’aspetto temporale, le decisioni hanno sempre effetto ex tunc. Tale circostanza, però, può essere relativizzata dall’applicazione dell’art. 27 della Legge n. 9.868 del 1999, che prevede la possibilità di modulare nel tempo gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità, a condizione che essa sia stata accolta da otto degli undici ministri del STF.

 

Ora, nelle azioni dirette di incostituzionalità per omissione, quando l’omissione si verifica in ambito legislativo, la decisione del STF si limita a dichiararne l’incostituzionalità. Nel caso in cui l’omissione sia attribuita a un organo amministrativo, potrà essere fissato un termine di trenta giorni al fine di consentire l’adozione delle misure necessarie a rendere effettiva la norma costituzionale.  

 

3 – La giurisprudenza del Supremo Tribunale Federale nel biennio 2012-2013.

Dopo aver analizzato la struttura e il modo in cui opera il Supremo Tribunale Federale, è ora necessario procedere ad una dettagliata analisi delle principali decisioni della Corte nel periodo oggetto di questa ricerca, ovvero, nel biennio 2012-2013.

 

La rassegna di sentenze in parola seguirà un ordine tematico. Su questa base, alcuni precedenti più recenti saranno presentati prima di altri, cronologicamente anteriori. Non verrà quindi seguito un ordine cronologico, ma un criterio sostanziale che attribuirà coerenza al testo.

 

Di conseguenza, i precedenti giurisprudenziali saranno suddivisi secondo i grandi temi qui di seguito elencati: diritti fondamentali (punto 3.1), organizzazione dello Stato e dei poteri (punto 3.2), garanzie costituzionali nel processo penale (punto 3.3) e diritti politici (punto 3.4).

 

3.1 – Diritti fondamentali.

Per quanto riguarda biennio 2012-2013, possono essere evidenziate tre questioni, inerenti ai diritti fondamentali, che hanno suscitato un vivo interesse sia presso il Supremo Tribunale Federale, sia nella comunità accademica brasiliana: la lotta alla violenza domestica, attraverso la cosiddetta “Legge Maria da Penha”, la cui legittimità costituzionale è stata oggetto d’esame da parte della Suprema Corte; la discussione circa la possibilità dell’interruzione lecita della gravidanza nel caso di feti affetti da anencefalia e, infine, la costituzionalità delle politiche relative alle azioni positive in favore delle minoranze ai fini dell’accesso all’università.

 

3.1.1 – Legge “Maria da Penha”: la questione della violenza domestica.

Il 9 febbraio 2012, al Supremo Tribunale Federale è stato chiesto di pronunciarsi in merito alla costituzionalità della Legge n. 11.340/2006, battezzata con il nome di Legge “Maria da Penha”, in ossequio alla Signora Maria da Penha Maia Fernandes, vittima di violenza domestica e rimasta paraplegica dopo essere stata brutalmente violentata da parte del marito.

 

La decisione del STF in questo caso è di enorme importanza, tenuto conto dell’alto indice di violenza domestica accertato in Brasile, e ha rappresentato una vera e propria azione positiva (discriminazione positiva) a favore di un gruppo vulnerabile. Come si vedrà più avanti, La Suprema Corte non si è limitata, nel corso degli anni ai quali si riferisce questa rassegna, a proteggere le donne, ma ha salvaguardato in occasione di altre sentenze i diritti dei neri e degli omosessuali.

 

Il principio di uguaglianza è stato, dunque, posto sotto i riflettori della Corte, la quale ha dovuto affrontare la sfida di analizzare se la citata legge, nel prevedere un approccio differenziato nei confronti delle donne vittime di violenza domestica, violasse tale principio.  Ed è doveroso anticipare che la risposta è stata tassativamente negativa.

 

Dall’altro lato, la Corte si è pronunciata in merito alla natura dell’azione penale nei casi di violenza domestica contro la donna. Il dubbio è stato sollevato poiché, qualora la repressione del reato fosse soggetta a procedibilità d’ufficio, essa non sarebbe dipesa dalla volontà della vittima, ma solo da quella dello Stato e, cioè, del Pubblico Ministero (dominus litis).

 

La Corte ha, infine, valutato la possibilità che tali delitti fossero giudicati dai Juizados Especiais, particolari istanze giudiziali brasiliane caratterizzate da procedimenti meno formali, basati sull’oralità e, per tale motivo, più celeri.

 

La Costituzione Federale, al paragrafo 8 dell’art. 226, prevede che “lo Stato garantirà l’assistenza alla famiglia nella persona di ciascuno dei membri che la compongono, con la creazione di meccanismi che impediscano la violenza nell’ambito dei rapporti familiari”.   

 

Il Supremo Tribunale Federale si è rivelato sensibile ai diversi ruoli dei soggetti che compongono la famiglia, i quali, generalmente, denotano differenti necessità di assistenza, sulla base della posizione che occupano nell’ambito familiare. Da questo punto di vista, è stato riconosciuto che in Brasile, il più delle volte, la cultura maschilista e patriarcale pregiudica il genere femminile, circostanza che manifesta un ritardo in termini di progresso civile.

 

Sono state due i giudizi proposti: l’Azione Dichiaratoria di Costituzionalità (ADC) n. 19, con la quale la Presidenza della Repubblica ha chiesto che gli articoli 1, 16, 33 e 41 della Legge n. 11.340/2006 fossero dichiarati legittimi sul piano costituzionale, e l’Azione Diretta di Incostituzionalità (ADI) n. 4.424, con la quale la Procura Generale della Repubblica ha sollevato la questione della legittimità costituzionale del comma I dell’art. 12, nonché degli articoli 16 e 41 della legge.

 

Va evidenziato che la principale argomentazione dell’ADC proposta dalla Presidenza della Repubblica è stata la manifesta mancata applicazione della legge da parte di alcuni giudici negli Stati federati, che l’hanno ritenuta incostituzionale in virtù dell’apparente discriminazione nei confronti dell’uomo, dal momento che la protezione era limitata alle sole donne.

 

Alla fine, l’ADC è stata accolta all’unanimità, ovvero, il Supremo Tribunale Federale ha dichiarato costituzionale l’art. 1 della Legge, confutando la violazione del principio di uguaglianza.

 

Con riferimento a tale specifico punto, il giudice relatore, il Ministro Marco Aurélio, ha affermato che la donna è più vulnerabile alle costrizioni fisiche, morali e psicologiche subite in ambito privato, ritenendo che “non esistono dubbi circa il percorso cronologico di discriminazione che essa ha sofferto nella sfera degli affetti. Le aggressioni subite sono significativamente maggiori rispetto a quelle che avvengono, ammesso che avvengano, nei confronti degli uomini in una situazione simile”. Ecco perché, alla luce del paragrafo 8 dell’art. 226 della Costituzione Federale, è stata ammessa la discriminazione.

Secondo il giudice relatore, la posizione di vulnerabilità delle donne nell’ambito dei rapporti familiari esige la protezione da parte dello Stato, dal momento che “nel creare meccanismi specifici per reprimere e prevenire la violenza domestica contro la donna e nel definire misure speciali di protezione, assistenza e punizione, sulla base del genere della vittima, il legislatore ha inteso identificare uno strumento adeguato e necessario per il raggiungimento dell’obbiettivo stabilito dall’art. 226, paragrafo 8 della Costituzione Federale”.

 

Nel corso dell’esame di legittimità costituzionale della discriminazione a favore delle donne, istituita con la Legge Maria da Penha, il Supremo Tribunale Federale ha, inoltre, utilizzato riferimenti di diritto internazionale e, in particolare, i trattati sottoscritti dal Brasile. In questo contesto, il voto del Ministro Marco Aurélio menziona la Convenzione di Belém nello Stato del Pará, mediante la quale lo Stato brasiliano si è impegnato a reprimere la violenza domestica contro la donna.

 

Sempre in merito al contributo del diritto internazionale ai fini dell’esito del caso in parola, il Supremo Tribunale Federale, attraverso il voto della Ministra Rosa Weber, ha citato un precedente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come risulta dalle considerazioni qui di seguito esposte:

 

“Circa le sfide ermeneutiche determinate dall’esigenza contemporanea di urgente concretizzazione dei diritti fondamentali, si sono occupate sia le Corti costituzionali delle più svariate giurisdizioni nazionali, sia le Corti che appartengono a sistemi internazionali di protezione dei diritti umani. È possibile affermare che l’evoluzione di quasi tutte le democrazie costituzionali moderne converge verso una comprensione del principio di uguaglianza secondo la quale, come ha precisato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,‘discriminazione significa trattare in modo diverso, senza un obbiettivo o una giustificazione ragionevoli, persone che si trovino in una situazione prevalentemente simile’ (Willis vs. Regno Unito, paragrafo 48, 2002; Okpisz vs. Germania, paragrafo 33, 2005). Viceversa, costituisce ugualmente discriminazione il non trattare in modo diverso, senza un obbiettivo o una giustificazione ragionevoli, persone che si trovino in una situazione prevalentemente differente”.

 

La Suprema Corte ha, inoltre, fatto riferimento ad un preciso insieme di principi, come si evince, ancora una volta, dal voto del Ministro Marco Aurélio:

 

“Dal punto di vista costituzionale, la norma è anche il risultato dell’applicazione del principio della proibizione di un’insufficiente protezione dei diritti fondamentali, nella misura in cui spetta allo Stato l’adozione di mezzi imprescindibili ai fini dell’effettiva concretizzazione dei precetti sanciti dalla Costituzione della Repubblica. La mancata promozione dell’uguaglianza di genere da parte dello Stato e il mancato rispetto, in misura maggiore o minore, di una finalità imposta dalla Costituzione comportano una situazione politica e giuridica di estrema gravità, tenuto conto che il legislatore costituente ha precisato chiaramente che lo Stato brasiliano può, per inerzia, violare la Costituzione.

La Legge Maria da Penha ha riscattato dall’invisibilità e dal silenzio la vittima delle ostilità occorse nella privacy di casa ed è il risultato di un movimento legislativo che si è chiaramente prefisso di assicurare alle donne vittime di aggressione l’effettivo accesso al risarcimento, alla protezione e alla giustizia. La norma attenua il contesto di discriminazione sociale e culturale che renderà legittima, fino a quando perdurerà nel paese tale discriminazione, l’adozione di una normativa compensatoria che promuova l’uguaglianza sostanziale, senza con ciò restringere irragionevolmente i diritti delle persone che appartengono al genere maschile. Vale la pena sottolineare che l’oggettiva dimensione dei diritti fondamentali esige azioni di salvaguardia dei beni oggetto di protezione da parte della Costituzione, siano essi materiali o giuridici, essendo importante ricordare che la famiglia e le persone che la compongono meritano una protezione particolare”.  

 

Va inoltre menzionato che il Supremo Tribunale Federale non ha affatto negato che anche l’uomo possa essere vittima di violenza domestica o familiare; tuttavia solo la donna è destinataria di una protezione legale differenziata, poiché è ritenuta più vulnerabile in ambito familiare. La tutela del genere maschile è dunque affidata alla normativa ordinaria e, cioè, al Codice Penale. È stata applicata al caso la famosa massima di Aristotele, secondo la quale quando si trattano disugualmente i disuguali, si promuove l’uguaglianza sostanziale a svantaggio dell’uguaglianza formale.

 

A sua volta, il Ministro Ayres Britto ha posto in rilievo la necessità di giungere ad una specie di “costituzionalismo fraterno”, a partire dalla rimozione di pregiudizi incompatibili con la Costituzione Federale del 1988, tenuto conto che “il grado di civiltà raggiunto da un popolo si misura con il grado di protezione della donna”.

 

Rispetto alla polemica inerente alla natura dell’azione, il Supremo Tribunale Federale ha deciso che in caso di reato domestico l’azione penale debba essere a procedibilità d’ufficio, indipendentemente dalla gravità della lesione. Così, ogniqualvolta sia applicabile la Legge Maria da Penha, spetterà al Pubblico Ministero la persecuzione del delitto, non essendo necessaria la querela da parte della vittima.

 

In altre parole, nel caso di violenza domestica contro la donna non sarà necessario il consenso della vittima per rendere possibile la sanzione da parte dello Stato. Dopo l’aggressione, la vittima potrebbe, infatti, desistere dall’accusa, poiché molte volte continua ancora ad essere sottoposta a minacce fisiche e psicologiche da parte del proprio aguzzino.  È stato, così, riconosciuto il dovere dello Stato di evitare che la violenza si aggravi o, peggio ancora, che si perpetui.

 

I ministri sono giunti alla conclusione che lasciare al criterio della vittima del delitto di lesione personale l’intervento statale, inficerebbe la protezione stabilita dalla legge. Su questa base, il Supremo Tribunale Federale ha aumentato il livello di protezione conferito alle donne.   

 

3.1.2 – Il reato d’aborto e l’interruzione della gravidanza in caso di feti anencefalici.

È corretto affermare che l’esame della possibilità di non applicare le sanzioni penali previste per il reato d’aborto, in caso di interruzione volontaria della gravidanza in presenza di feti affetti da anencefalia, ha dato luogo a uno dei processi più importanti della storia del Supremo Tribunale Federale.

 

Il 12 aprile 2012 è ripreso il giudizio del Ricorso per Violazione di Precetto Fondamentale (ADPF) n. 54, iniziato presso il Supremo Tribunale Federale nel 2004. Tale giudizio è stato proposto dalla Confederazione Nazionale dei Lavoratori della Sanità e patrocinat0 dall’avvocato Luís Roberto Barroso, che nel 2013 è stato nominato giudice del STF. Sulla base delle argomentazioni presentate al Tribunale dall’attore dell’azione, l’obbiettivo era quello di lenire la sofferenza delle gestanti di feti anencefalici.

 

La tesi contraria a quella dell’attore della domanda giudiziale è stata sostenuta, nell’ambito del processo, sostanzialmente da gruppi religiosi, tra i quali la Chiesa Cattolica, che basicamente difendevano le seguenti argomentazioni: a) il feto deve essere considerato un essere umano e il suo diritto alla vita deve essere rispettato; b) ci sarebbero possibilità di sopravvivenza extrauterina anche per i feti affetti da anencefalia; c) la legalizzazione dell’aborto di feti anencefalici rappresenterebbe il primo passo verso una legalizzazione ampia e generalizzata degli aborti in Brasile, e d) l’aborto di feti anencefalici costituirebbe un tipo di aborto eugenetico, con l’obbiettivo di eliminare individui con disabilità fisiche o mentali per la purificazione della specie.   

 

Nel tentativo di motivare in modo oggettivo la posizione del Tribunale, il giudice relatore dell’ADPF, il Ministro Marco Aurélio, servendosi di una facoltà introdotta dalla Legge n. 9.868 del 1999, ha realizzato quattro audizioni pubbliche, convocando a tal fine la comunità scientifica, organi governativi e differenti segmenti della società civile.

 

La Suprema Corte ha, infine, deciso che le gestanti hanno il diritto di anticipare il parto nei casi in cui il feto sia affetto da anencefalia, rigettando la tesi secondo la quale l’interruzione volontaria della gravidanza costituirebbe reato d’aborto, di cui agli articoli 124 a 128 del Codice Penale.

 

Il Tribunale ha avvalorato la tradizionale convinzione presente nel costituzionalismo repubblicano brasiliano circa la laicità dello Stato, ribadendo che le convinzioni religiose non avrebbero potuto influenzare la decisione della Corte nel caso in questione.

 

Per 8 voti a 2, ovvero, grazie ad un’espressiva maggioranza, la Corte ha stabilito sulla base dell’interpretazione della Costituzione, che l’interruzione volontaria della gravidanza in caso di feti anencefalici non poteva rientrare nel delitto d’aborto, il quale presuppone la possibilità di nascita con vita, compresa quella cerebrale, totalmente impossibile nel caso concreto. Su questo punto sono risultate sconfitte le posizioni del Ministro Ricardo Levandowski, il quale ha sostenuto che in tal modo la Corte avrebbe ingiustamente creato norme potenzialmente applicabili ad altri tipi di malformazione, e del Ministro Cezar Peluso, che ha espresso enfaticamente il proprio disaccordo sostenendo che la vita e la dignità del feto dovrebbero essere protette indipendentemente da qualsiasi condizione.

 

Nonostante i differenti approcci, tutti i ministri che hanno espresso la posizione maggioritaria hanno evidenziato che il diritto di anticipare il parto deriva da un insieme di precetti fondamentali e, in particolare, da quello della dignità della persona umana. Hanno, infine, rigettato l’eventuale argomentazione secondo la quale la Corte starebbe invadendo uno spazio riservato alla sfera politica.

 

A partire dal consenso scientifico esistente in merito alla certezza delle diagnosi e all’impossibilità di sopravvivenza dopo il parto, è stato ponderato che obbligare le donne a proseguire una gestazione votata all’insuccesso costituirebbe una palese violenza da parte dello Stato. La Corte ha, quindi, riconosciuto l’inesistenza di un fondamento costituzionale che imponga l’osservanza di un determinato standard etico o religioso.   Il giudice relatore ha sottolineato il carattere laico dello Stato brasiliano, assicurato sin dalla Costituzione del 1891, durante il passaggio dall’Impero alla Repubblica. “La questione sollevata da questo processo – l’incostituzionalità dell’interpretazione in base alla quale l’interruzione volontaria della gravidanza, in caso di feto anencefalico, costituirebbe reato – non può essere esaminata”, ha sottolineato, “alla luce di orientamenti religiosi di carattere morale”.

 

E stata, in tal modo, assicurata la liceità degli interventi da parte dei medici e della decisione da parte delle gestanti di interrompere volontariamente la gravidanza. Ciò significa che la diagnosi dell’anencefalia è di per sé sufficiente ai fini dell’intervento, il quale, a seguito della decisione ora in esame, non è subordinato a una previa autorizzazione giudiziale.   Infatti, la Corte ha sottolineato che il feto, considerata l’impossibilità della sua sopravvivenza fuori dall’utero, non sarebbe titolare del diritto alla vita.

 

Con il voto che alla fine è prevalso, il giudice relatore ha sostenuto che il conflitto tra diritti fondamentali, quali sono quelli della donna e dei feti, sarebbe esclusivamente apparente. In merito a tale premessa, ha ribadito che la Legge n. 9.434/1997 ha definito la morte cerebrale come criterio per la donazione degli organi, ragione per la quale è giunto alla conclusione che il feto anencefalico è presumibilmente già morto dal punto di vista giuridico. Sia il feto anencefalico, sia il paziente in stato di morte cerebrale non rivelano attività da parte  della corteccia cerebrale, né possiedono funzioni cerebrali superiori, circostanza che dovrebbe imporre un’identica soluzione giuridica. In altri termini, non ci sarebbero ragioni per proteggere la potenziale vita, dal momento che tale possibilità non sussisterebbe nemmeno.

 

Sull’altro versante, ha posto l’accento sul fatto che obbligare la donna a proseguire una gestazione di tale natura significherebbe imporle una sorta di “carcere privato nel suo stesso corpo”, lasciandola priva di un livello minimo essenziale di autodeterminazione, circostanza che, per certi versi, sarebbe assimilabile alla tortura. “Soppesare valori e sentimenti di ordine strettamente privato, ai fini della decisione di interrompere o no la gravidanza, spetta alla donna e non allo Stato”, ha affermato il Ministro Marco Aurélio, aggiungendo che ad essere in gioco erano la privacy, l’autonomia e la dignità umana delle donne, diritti fondamentali il cui rispetto è inerente all’essere umano.

 

Vanno, altresì, spiegate le ragioni delle posizioni, risultate minoritarie, espresse dai Ministri Ricardo Levandowski e Cezar Peluso.  Il primo ha sostenuto che spetterebbe solo al Congresso Nazionale autorizzare l’interruzione volontaria della gravidanza in presenza di feto anencefalico, nonché che il Supremo Tribunale Federale potrebbe esclusivamente esercitare il ruolo di legislatore negativo.  Levandowski ha osservato che il Congresso Nazionale, se lo avesse voluto, avrebbe potuto alterare la legislazione, inserendo il caso dei feti anencefalici tra i quelli in cui l’aborto non è considerato reato, ma che fino a quel momento non l’aveva fatto giustamente perché era ancora profondamente diviso sull’argomento; tale circostanza, tra l’altro, sarebbe il riflesso, secondo il Ministro Levandowski, dell’abissale divisione esistente nella stessa società brasiliana su tale materia. Ha, infine, espresso la propria grande preoccupazione in merito al rischio che si possa giungere a consentire, all’infuori dei casi previsti in legge, l’interruzione della gestazione di embrioni affetti da varie altre patologie che dovessero suggerire un’aspettativa minima di sopravvivenza extrauterina.

 

A sua volta, il Ministro Cezar Peluso ha argomentato che il feto ha diritto alla vita e che tale diritto merita una protezione incondizionata, osservando che il feto anencefalico può morire solo perché è vivo. Ha, inoltre segnalato, che la questione dei feti anencefalici andrebbe trattata con “estrema cautela”, tenuto conto dell’imprecisione di tale nozione, delle difficoltà di diagnosi e dei dissensi sulla materia.

Peluso ha affermato che i richiami alla libertà e all’autonomia della persona sono “del tutto insignificanti” e “minano l’idea stessa di un mondo diversificato e pluralista”. La discriminazione che relega il feto “in una condizione di spazzatura”, secondo la sua opinione, “non differisce affatto dal razzismo, dal sessismo e dallo specismo”, dimostrando “l’assurda difesa e assoluzione della superiorità di alcuni sugli altri”. Alla fine del proprio voto, l’allora presidente del STF ha posto l’accento sul fatto che non spettava a quella Corte attuare come legislatore positivo e che il Parlamento non aveva inserito il caso dei feti anencefalici tra le specialissime ipotesi previste dall’art. 124 del Codice Penale in cui è l’aborto.  

 

L’importanza di questo processo è evidente, giustamente, perché segna una tappa storica nella definizione dei confini costituzionali del diritto alla vita, in particolare quella del nascituro, e dei diritti inerenti alla riproduzione umana. A partire dalla decisione del STF, tutte le gestanti brasiliane di feti anencefalici sono libere di interrompere volontariamente la gravidanza attraverso interventi medici che non saranno subordinati ad una autorizzazione giudiziale. In tal modo, né la paziente, né il medico subiranno alcuna imputazione penale. Il Plenum del STF, attraverso una decisione erga omnes e con efficacia vincolante,  ha assicurato l’atipicità della fattispecie. A partire da tale decisione, pertanto, non esiste più il reato di interruzione della gravidanza in caso di feti affetti da anencefalia.

 

3.1.3. Azione positiva: riserva di posti nelle università.

Il diritto fondamentale allo studio è previsto dagli articoli 6 e 205-214 della Costituzione Federale brasiliana. È dovere dello Stato e della famiglia promuovere e incentivare l’istruzione con l’obbiettivo di consentire uno sviluppo degli individui idoneo all’esercizio della cittadinanza e la qualificazione professionale.

 

Con l’obbiettivo di rendere effettivo tale diritto costituzionale, alcune università pubbliche hanno istituito sistemi di quote etnico-razziali, riservando una percentuale dei posti disponibili a studenti che denotino particolari caratteristiche di colore, etnia e classe sociale, provenienti da scuole pubbliche.

 

La riserva di una parte dei posti disponibili presso le università pubbliche, sulla base di criteri etnico-razziali, è stata messa in discussione con l’ADPF n. 186, proposta dal partito politico di opposizione denominato Democratas. L’azione, rigettata dal Plenum del STF nel corso del giudizio svoltosi il 25 e 26 aprile 2012, ha avuto come giudice relatore il Ministro Ricardo Lewandowski, il quale ha specificamente analizzando la contestata politica di riserva di posti presso l’Università di Brasilia (UnB), dove il 20% dei posti disponibili è riservato agli studenti neri. Alla fine, il giudice relatore è giunto alla conclusione che le politiche relative alle azioni positive sulla base di criteri sono legittime sul piano costituzionale.

 

Nella domanda giudiziale si affermava che le quote di riserva violerebbero il principio della dignità della persona umana, il ripudio al razzismo, il principio di uguaglianza, il diritto universale allo studio e la meritocrazia.   

 

Il Plenum della Corte ha deciso che la Costituzione non si limita a proclamare l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, ma deve assicurare tale uguaglianza compatibilmente con le differenze di ciascuno. È stata ripercorsa la cronologia storica della discriminazione dei neri in Brasile sin dai tempi della schiavitù ed è stato ricordato che le azioni positive a favore delle persone discriminate rappresentano uno strumento per attenuare una situazione consolidata di disuguaglianza, al fine di garantire pari opportunità.

 

Per non trasformarsi in una prassi ingiusta, tenuto conto che istituisce un sistema di preferenza, tale politica dovrebbe avere una durata limitata nel tempo. Il giudice relatore ha affermato che “i mezzi impiegati e i fini perseguiti dall’Università di Brasilia sono caratterizzati dalla proporzionalità e dalla ragionevolezza e che tali politiche sono di carattere transitorio, mediante verifica periodica dei risultati raggiunti”. Come ha avuto modo di ponderare la Ministra Rosa Weber, “quando i neri diventeranno visibili negli ambienti più ambiti della società, non sarà più necessaria alcuna politica di compensazione”.

 

Alla luce del principio di uguaglianza sostanziale, la Corte ha riconosciuto allo Stato la possibilità di promuovere azioni positive a favore di determinati gruppi sociali come strumento di garanzia di taluni vantaggi, idonei a rendere fattibile l’improcrastinabile eliminazione di disuguaglianze storiche.  È stato fatto presente che la politica di quote di riserva non sarebbe nemmeno estranea alla Costituzione, che all’art. 37, comma VIII stabilisce una riserva di posti per incarichi e impieghi pubblici in favore dei disabili.

 

Il Ministro Luiz Fux ha osservato che la Costituzione, nel professare la costruzione di una società libera, giusta e solidale come obiettivo fondamentale della Repubblica Federativa del Brasile (art. 3, comma I), impone il risarcimento dei danni pregressi perpetrati dal Brasile in relazione ai neri.

 

In tal modo, i progetti di azione positiva costituirebbero uno strumento per compensare la storica discriminazione, radicata dal punto di vista culturale, non di rado attuata in modo inconscio e all’ombra di uno Stato compiacente. Le azioni positive, dunque, si rivestono di una rilevante funzione simbolica. Secondo la Ministra Carmen Lúcia “le azioni positive non rappresentano l’opzione migliore, ma costituiscono una tappa. La cosa migliore sarebbe che tutti fossero uguali e liberi”. Da questo punto di vista, le politiche di compensazione devono essere associate ad altre tipologie di programmi al fine di non trasformarsi, all’inverso, in una forma di pregiudizio.  Per la Ministra, le azioni positive derivano dalla responsabilità sociale e statale e sono indispensabili per la realizzazione del principio di uguaglianza.

 

Joaquim Barbosa ha sostenuto che “non va perso di vista il fatto che nell’era contemporanea della storia dell’umanità non si è mai verificato che, a partire da una situazione periferica, una nazione abbia raggiunto una condizione di potenza economica e politica, degna di rispetto nel panorama politico internazionale, conservando, sul piano interno, una politica di esclusione in relazione a una porzione consistente della propria popolazione”.  Ha asserito che esistono, “nell’ambito del Diritto Comparato, vari esempi di azioni positive tracciate dal Potere Giudiziario nei casi in cui la discriminazione sia talmente evidente e l’esclusione talmente palese, da non lasciargli altra alternativa se non quella di stabilire e definire direttamente azioni positive, come è avvenuto, per esempio, negli Stati Uniti ed in particolare negli Stati del Sud di questo paese”.

 

È importante porre in risalto la natura transitoria delle politiche inerenti alle azioni positive, dal momento che le disuguaglianze tra neri e bianchi non derivano, ovviamente, da un’inferiorità naturale o genetica, ma da un’accentuata situazione di svantaggio nella quale i neri sono stati relegati sul piano economico, sociale e politico a seguito di secoli di dominazione.

 

Come ha affermato il Ministro Cezar Peluso, esiste un deficit di tipo educativo e culturale da parte dei neri, riconducibile all’esistenza di barriere istituzionali che ostacolano l’accesso alle fonti dell’istruzione; tale circostanza impone “alla società e allo Stato, alla luce degli obbiettivi fondamentali sanciti dalla Costituzione, specifici obblighi, non solo di carattere etico, ma anche giuridico, dinanzi a siffatta disuguaglianza”. In tale contesto, “esiste il dovere etico-giuridico da parte della società e dello Sato di adottare politiche pubbliche che si oppongano a tale deficit storico, al fine di superare, nel corso del tempo, questa disuguaglianza sostanziale e di eliminare tale ingiustizia storica di cui i neri sono stati vittime  durante gli anni”.

 

Sempre esprimendosi a favore della compatibilità tra il sistema di quote di riserva e il principio di uguaglianza, il Ministro Gilmar Mendes ha osservato che la scarsa presenza di neri nelle università è dovuto a un preciso percorso storico, determinato da un modello schiavistico di sviluppo, dalla bassa qualità della scuola pubblica e dalla “difficoltà, assimilabile a una lotteria”, degli esami d’accesso all’università. Da un punto di vista analogo, il Ministro Marco Aurélio ha sottolineato che “la meritocrazia, senza uguaglianza di punti di partenza, costituisce appena una forma velata di aristocrazia”. Da ciò nasce la necessità di stabilire un sistema di quote di riserva.

 

Così, nella misura in cui saranno gradualmente corrette tali storture storiche e diventerà effettiva la presenza in tutte le sfere pubbliche e private di neri e dei rimanenti individui esclusi, non sussisterà più la necessità di quote di riserva presso le università pubbliche, tenuto conto della concretizzazione dell’uguaglianza giuridica, meta dell’opzione politica espressa dal legislatore positivo.

 

Per il decano della Corte, il Ministro Celso de Mello, le quote di riserva fissate presso l’Università di Brasilia sono compatibili con la Costituzione e con i trattati internazionali in materia di diritti umani. “Le politiche pubbliche trovano nell’attuazione di azioni positive uno straordinario e legittimo strumento di efficacia necessariamente temporanea, dato che esse non sono destinate a mantenere uguali diritti dopo aver raggiunto gli obbiettivi prefissati”, ha affermato, ricordando che il modello in esame è a tempo determinato e che, trascorsi dieci anni, sarà sottoposto a valutazione. Al riguardo, vale la pena trascriverne il voto:

 

“Ciò posto, tenuto conto in particolare del fatto che le azioni positive adottate dall’Università di Brasilia 1) hanno l’obiettivo di istituire un ambiente accademico pluralista e diversificato, superando storture sociali storicamente consolidate, 2) rivelano proporzionalità e ragionevolezza per quanto riguarda i mezzi impiegati e i fini prefissati, 3) sono temporanee e prevedono una verifica periodica dei risultati raggiunti e 4) utilizzano metodi di selezione idonei e compatibili con il principio della dignità umana, rigetto la presente ADPF.”

 

Il 3 maggio 2012, trascorsa esattamente una settimana dalla sentenza con la quale la Corte ha riconosciuto la costituzionalità delle quote di riserva razziali presso le università pubbliche, è stato giudicato valido il programma denominato “PROUni –Programma Università per Tutti”. Il rigetto dell’Azione Diretta di Incostituzionalità (ADI) n. 3.330, con la quale veniva messa in discussione la legittimità costituzionale della Legge n. 11.096/2005, ha mantenuto in vigore il menzionato programma, che sovvenziona le università private che offrono borse di studio a studenti che abbiano frequentato scuole di istruzione secondaria superiore pubbliche o quelle private in qualità di borsisti, con reddito familiare che non superi il valore di un salario minimo e mezzo a persona (per una borsa integrale) o tre salari minimi a persona (per una borsa parziale). È stata così sancita una politica di azioni positive, finalizzata ad offrire agli studenti provenienti da famiglie di basso reddito le stesse opportunità dei colleghi provenienti da famiglie inserite in fasce di reddito superiore, attraverso la quale è stato posto in pratica il principio di uguaglianza.

Va, per ultimo, ricordato che il 9 maggio 2012, in occasione della decisione relativa al Ricorso Straordinario n. 597.285, il Supremo Tribunale Federale, nella parte relativa all’esame della ripercussione generale, ha reiterato che “il sistema di quote di riserva dei posti disponibili presso le università pubbliche, istituito come azione positiva ai fini dell’inclusione sociale, è costituzionale”.

 

3.2. Organizzazione dello Stato e dei poteri.

 

3.2.1. I Precatórios e l’Emendamento Truffa.

Quattro azioni dirette di incostituzionalità – ADI 4.357, ADI 4.372, ADI 4.400 e ADI 4.425 – giudicate nel corso del 2013, si sono concluse con la dichiarazione di incostituzionalità parziale dell’Emendamento Costituzionale n. 62/2009. Al di là dell’importanza sostanziale rivestita dal tema in sé stesso, inerente all’adempimento degli obblighi decorrenti dalle condanne giudiziali nei confronti dello Stato, si possono evidenziare due importanti aspetti della delibera della Suprema Corte, qui di seguito esposti: il controllo di legittimità costituzionale di un emendamento alla Costituzione, consentito nell’ambito del sistema costituzionale brasiliano, e il modello seguito per la modulazione nel tempo degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità.

 

Le quattro azioni riguardavano in modo particolare un determinato aspetto dell’ordinamento costituzionale brasiliano: i cosiddetti Precatórios. Il precatório è un titolo che ufficializza l’istanza di pagamento di un credito giudizialmente riconosciuto e vantato da un privato nei confronti della pubblica amministrazione.  In altre parole, il precatório è un ordine emesso dal giudice, affinché la pubblica amministrazione inserisca nel bilancio dell’esercizio finanziario successivo le somme relative alle condanne inflitte allo Stato, per consentire che l’anno successivo ne venga realizzato il pagamento.

 

Dopo la fase di esecuzione giudiziale, normalmente, il giudice, su istanza del creditore interessato e sentito il pubblico ministero, emette un documento ufficiale indirizzato al Presidente del Tribunale dal quale dipende, richiedendo il pagamento del debito.    Le istanze ricevute dal Tribunale entro il 1º luglio dell’anno in corso vengono protocollate come precatórios,  i quali sono soggetti ad adeguamento fissato a quella data e inseriti nella proposta di bilancio dell’anno successivo; va ricordato che la legge di bilancio, in Brasile, non impone l’obbligo di spesa.

 

Questo modello è in vigore in Brasile sin dalla Costituzione del 1934 (art. 182), che in merito ai precatórios aveva stabilito la rigorosa osservanza dell’ordine cronologico di rilascio dei titoli da parte del tribunale competente. La Costituzione del 1988 ha seguito tale tradizione, disciplinando la materia dei precatórios all’art. 100, con l’introduzione di un’importante novità: nel testo emerge, in pratica, un doppio ordine cronologico, uno per i precatórios relativi ai crediti in generale, l’altro per i precatórios inerenti a crediti di natura alimentare.

 

L’importanza di studiare l’argomento è sottolineata da José Levi Mello do Amaral Júnior, quando afferma che “l’articolo 100 è probabilmente una delle disposizioni costituzionali che più sono state modificate nel corso della storia del costituzionalismo (non solo quello brasiliano)”.

 

La sequenza di Emendamenti alla Costituzione si giustifica, in buona sostanza, in virtù del tentativo di risolvere una situazione ricorrente nella vita istituzionale del Brasile, ovvero, il fatto che lo Stato si avvalga delle proprie prerogative per non pagare i propri creditori, facendo in modo che i precatórios si accumulino nel tempo, senza l’avvenuto pagamento dovuto.

 

Questa tradizione, tipicamente antirepubblicana, si è incorporata al “modo d’essere” degli Erari degli Stati e dei Comuni, i quali, nel susseguirsi delle diverse amministrazioni, indipendentemente dai rispettivi orientamenti ideologici, lasciano accumulare un deficit spaventoso, il cui pagamento diventa giorno per giorno più penalizzante per la società civile.

 

Tale circostanza disturba notevolmente il Potere giudiziario, giustamente perché le sue decisioni di condanna contro l’Erario sono inficiate dal reiterato inadempimento degli ordini di pagamento contenuti nei precatórios.

 

In tale contesto, il succitato Emendamento n. 62 è stato pubblicato, su impulso dell’allora Presidente del STF, il Ministro Nelson Jobim, a titolo di ennesimo tentativo da parte del costituente derivato di risolvere il problema dell’enorme deficit delle finanze pubbliche, al fine di garantire alcuni dei diritti dei creditori dello Stato.

 

Le innovazioni introdotte dall’emendamento possono essere sintetizzate come segue: è stato istituito un regime speciale per il pagamento dei precatórios, il quale dovrà essere regolamentato mediante una futura legge complementare; per tale ragione e sino alla pubblicazione della citata legge, rimarrà in vigore un regime provvisorio. L’emendamento costituzionale ha previsto la rateizzazione dei precatórios, vincolandola a una porzione del bilancio dell’ente locale federato e affiancandola a una specie di asta all’inverso, attraverso la quale potrebbero essere estinti i precatórios negoziati sottoprezzo dal creditore (art. 100, paragrafo 15 della Costituzione Federale del 1988 e art. 97 delle Disposizioni Costituzionali Transitorie, come modificati dall’Emendamento Costituzionale n. 62/2009).

 

Nel corso delle azioni, il primo giudice relatore, il Ministro Ayres Britto, ha ritenuto che tali soluzioni “sovvertirebbero i valori dello Stato di Diritto, del giusto processo, del libero e facile accesso alla Giustizia e della durata ragionevole del processo”. Per tali ragioni, ha deliberato a favore dell’incostituzionalità di quasi tutto l’Emendamento, che ha ricevuto lo spiritoso soprannome di “emendamento truffa” in quanto offendeva i principi di moralità nella pubblica amministrazione, di imparzialità e di uguaglianza.

 

Secondo il Supremo Tribunale Federale l’emendamento violava i menzionati principi costituzionali, dal momento che ciò che manca non sono i fondi per l’adempimento dei precatórios, ma l’impegno da parte di chi governa di dare seguito alle decisioni dei giudici. Inoltre, è stato sottolineato che imporre ai creditori il peso di un nuovo ritardo nella riscossione dei crediti cui hanno diritto costituirebbe una violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

 

Analizzando più in profondità la sentenza, è importante porre in evidenza che il giudizio è stato diviso in due parti: la prima si è occupata delle modifiche all’articolo 100 della Costituzione; la seconda si è incentrata sulle modifiche, apportate sempre dall’Emendamento n. 62, all’articolo 97 delle Disposizioni Costituzionali Transitorie.

 

Nel corso dell’esame delle modifiche introdotte dall’Emendamento all’art. 100 della Costituzione e all’art. 97 delle Disposizioni Costituzionali Transitorie, il Supremo Tribunale Federale è giunto alle seguenti conclusioni:

 

(I) La “speciale preferenza” attribuita ai precatórios inerenti a crediti alimentari vantati da persone anziane, ovvero, da persone di età superiore ai 60 anni, e da persone affette da patologie gravi, di cui all’art. 100, paragrafo 2 della Costituzione Federale del 1988, come modificato dall’Emendamento Costituzionale n. 62/2009, è costituzionale.

 

Tuttavia, il Supremo Tribunale Federale ha considerato incostituzionale valutare l’età del beneficiario “alla data di rilascio del precatório”, poiché tale fatto viola il principio di uguaglianza. La Corte ha osservato che la preferenza concessa ai precatórios di persone anziane andrebbe estesa a tutti i creditori che raggiungano i 60 anni durante l’iter procedimentale, dato che tra il giorno in cui il precatório è rilasciato e la data in cui viene pagato sono normalmente trascorsi molti anni.

 

A sua volta, il limite della somma da pagare in via preferenziale relativamente ai crediti di natura alimentare, stabilito dal paragrafo 2 dell’art. 100 della Costituzione Federale, è stato considerato legittimo sul piano costituzionale da parte del STF. Qualora, infatti, la somma cui hanno diritto la persona anziana e il malato grave superi il triplo del valore fissato in legge, una parte sarà pagata in via preferenziale e il resto corrisposto seguendo l’ordine cronologico di presentazione del precatório, dato che i debiti vengono di regola pagati sulla base dell’ordine cronologico attraverso il quale sono stati presentati i precatórios nel contesto di ciascuna “fila” indipendente.

 

(II) La possibilità di compensazione forzata, nel caso in cui il beneficiario del precatório sia debitore nei confronti dell’Erario, assicurata dai paragrafi 9 e 10 dell’art. 100 della Costituzione del 1988, è stata giudicata incostituzionale. Il Supremo Tribunale Federale ha ritenuto irragionevole la possibilità di compensazione tra le somme dovute da parte delle Casse dello Stato a titolo di precatório e l’eventuale debito tributario o pubblico nei confronti del Fisco.

 

Secondo la Corte le succitate disposizioni violano i principi di uguaglianza, del giusto processo, del contraddittorio e ampia difesa e della separazione dei poteri, poiché, nell’attribuire un’enorme superiorità processuale all’Erario, favoriscono il pagamento dei crediti del potere pubblico, condizione che non è assicurata al privato contribuente. Per le stesse ragioni, i ministri hanno riconosciuto l’incostituzionalità del secondo comma del paragrafo 9 dell’art. 97 delle Disposizioni Costituzionali Transitorie.

 

Durante il processo, il giudice relatore, il Ministro Luiz Fux, al quale spettava la redazione della sentenza, ha affermato che “tale tipo di compensazione unilaterale e automatica delle somme metterebbe in difficoltà l’effettività della tutela giurisdizionale, non rispetterebbe la cosa giudicata e intaccherebbe il principio della separazione dei Poteri”.

 

(III) Al fine di evitare la perdita di valore nominale del credito, ovvero, la svalutazione del suo reale valore a seguito dell’inflazione, il paragrafo 5 dell’art. 100 stabilisce che il precatório debba essere corretto dal punto di vista monetario al momento del pagamento definitivo. Tuttavia, i tassi di correzione per la svalutazione monetaria e degli interessi di mora previsti dall’Emendamento Costituzionale n. 62/2009 sono stati giudicati incostituzionali.     

 

Il Supremo Tribunale Federale ha dichiarato incostituzionale la frase “tasso ufficiale di interesse dei libretti di risparmio”, introdotta dal paragrafo 12 dell’art. 100 della Costituzione e reiterata all’art. 97, secondo comma del paragrafo 1 e paragrafo 16, delle Disposizioni Costituzionali Transitorie.

 

La Corte ha sottolineato che la correzione monetaria dei precatórios deve corrispondere al tasso dell’effettiva svalutazione della moneta, poiché è evidente che il tasso ufficiale di interesse dei libretti di risparmio non consentirebbe di evitare la perdita del potere d’acquisto della moneta, trattandosi di un tasso insufficiente. Il giudice relatore ha sostenuto che la “correzione per la svalutazione monetaria dei debiti inseriti nei precatórios dovrebbe corrispondere al tasso di svalutazione della moneta al termine di un periodo determinato”.

 

Tra l’altro, è importante far notare che i crediti a favore dell’Erario sono corretti in base al tasso SELIC, il cui valore supera abbondantemente i guadagni offerti dai libretti di risparmio, confermando così l’argomento secondo il quale le disposizioni contenute nel paragrafo 12 violerebbero, indiscutibilmente, il principio di uguaglianza.

 

(IV) L’Emendamento Costituzionale n. 62/2009 ha, inoltre, aggiunto il paragrafo 15 all’art. 100, il quale ha attribuito al legislatore ordinario la possibilità di creare, con legge complementare, un regime speciale di pagamento dei precatórios dei singoli Stati, del Distretto Federale e dei Comuni, mediante l’emanazione di norme in materia di vincoli di bilancio, modalità e termini di pagamento. L’obbiettivo del regime speciale era quello di ridurre l’indebitamento degli Stati, del Distretto Federale e dei Comuni causato dall’emissione dei precatórios, senza paralizzare i bilanci di tali enti locali.

 

Tale “regime speciale” è stato regolato in modo provvisorio dall’art. 97 delle Disposizioni Costituzionali Transitorie, il quale ha concesso una serie di vantaggi agli Stati e ai Comuni. La norma autorizzava tali enti a istituire una specie di “asta dei precatórios”, nel corso della quale i creditori dei precatórios avrebbero potuto competere tra loro attraverso l’offerta di deságios (“sconti”) in relazione alle somme cui avevano diritto, al fine di ricevere in anticipo il pagamento mediante una specie di negoziazione privata in deroga alla regola dell’art. 100 della Costituzione Federale, in base alla quale i precatórios devono essere pagati secondo l’ordine cronologico di presentazione.

 

La Suprema Corte ha dichiarato incostituzionali sia il paragrafo 15 dell’art. 100 della Costituzione Federale del 1988, sia tutto l’art. 97 delle ADCT, rigettando la moratoria, la rateizzazione del debito e l’asta negativa, che danneggiavano il creditore.

 

Infine, il Plenum della Corte ha respinto la possibilità di dilazionare il pagamento in 15 anni, poiché contraria ai valori dello Stato di Diritto, del giusto processo, dell’accesso alla Giustizia e della durata ragionevole del processo.

Modulazione degli effetti

 

Stati e Comuni hanno presentato una mozione d’ordine circa la necessità di una pronuncia da parte della Corte sulla modulazione degli effetti della decisione. Il Supremo Tribunale Federale non ha tuttora definitivamente deciso se sarà ripristinato il regime precedente in materia di precatórios e dei pagamenti realizzati tra il 2010 e il 2013 o se la dichiarazione di incostituzionalità dell’Emendamento Costituzionale n. 62/2009 produrrà i propri effetti solo a partire dalla pubblicazione della decisione sulla Gazzetta Ufficiale.  

 

Il Ministro Teori Zavascki ha richiamato l’attenzione sul rischio che l’esecuzione immediata della decisione possa produrre due situazioni più gravose per i creditori di un precatório che il regime previsto dallo stesso Emendamento alla Costituzione n.62/2009: 1) il ritorno alla precedente situazione di incostituzionalità sistematica, durante la quale tutti i debiti erano immediatamente esigibili, ma non ne veniva pagato quasi nessuno (inadempimento da parte dello Stato privo di sanzione)  o 2) il virtuale fallimento della maggior parte degli enti locali, che si troverebbero a dover inserire nei rispettivi bilanci il valore corrispondente allo stock del debito, paralizzando l’adempimento di altri obblighi costituzionali di importanza uguale o maggiore, tra i quali è incluso quello della fornitura dei servizi.  

 

Il Ministro Luiz Fux ha, invece, proposto di annullare le regole relative al regime speciale solo a partire dalla fine dell’esercizio finanziario 2018, grazie alla proroga per altri cinque anni dell’Emendamento Costituzionale n. 62/2009, mantenendo in vigore provvisoriamente l’Emendamento considerato incostituzionale, al fine di evitare l’inadempienza priva di conseguenze come avveniva in precedenza. Alla fine, ha evidenziato la necessità di dichiarare la nullità retroattiva solo delle regole accessorie relative alla correzione monetaria e agli interessi di mora.

 

Ciò è quanto si può evincere dalla notizia pubblicata sul sito del STF (www.stf.jus.br), tenuto conto che il processo è tuttora in corso, poiché il Ministro Dias Toffoli ne ha avocato a sé gli atti:

 

Regime speciale

Il regime speciale istituito dall’Emendamento Costituzionale n. 62 consiste nell’adozione di un sistema di rateizzazione del debito in 15 anni, associato a un regime che riserva una porzione variabile tra l’1% e il 2%  del bilancio degli Stati e dei Comuni per il pagamento dei precatórios mediante un conto corrente  bancario specificamente dedicato a questo scopo.  Il 50% di tali risorse verrebbe destinato al pagamento in base all’ordine cronologico e il restante 50% sarebbe assegnato a un sistema di pagamento secondo un ordine decrescente delle somme, attraverso la realizzazione di aste o negoziando direttamente con i creditori.

Il pagamento dei precatórios mediante aste o negoziazione, secondo la proposta di modulazione avanzata dal Ministro Fux, dovrà essere dichiarato nullo subito dopo il passaggio in giudicato delle Azioni Dirette di Incostituzionalità, senza comportare, però, effetti retroattivi. Sono state dichiarate nulle, con efficacia retroattiva, le regole che avevano stabilito i tassi di interesse dei libretti di risparmio ai fini del calcolo della correzione monetaria e degli interessi di mora dei precatórios, poiché ritenuti insufficienti a ricomporre o remunerare i debiti.  

Nuovi criteri

‘Così come avviene per ogni decisione che imponga termini precisi all’azione da parte dello Stato, ad essere in gioco sono l’effettività della Costituzione Federale e la credibilità del STF”, ha affermato Fux. ‘Per questo è importante’, ha continuato, ‘che la sentenza di oggi stabilisca meccanismi capaci di favorire davvero la perdita da parte dell’Erario della tranquillità con la quale gestiva il debito a suo carico, determinato da una sentenza di condanna. Il mancato pagamento dei precatórios non deve mai più tornare ad essere un’opzione di chi governa’.

Il ministro ha affermato che, una volta scaduto il termine ultimo (fine 2018), dovrà essere immediatamente applicato l’art.100 della Costituzione Federale, il quale prevede la possibilità di sequestrare fondi pubblici per assicurare il pagamento di un debito, qualora non si sia proceduto ad inserirlo in bilancio. Ha richiamato l’attenzione sulla necessità che il Supremo Tribunale Federale riveda la propria giurisprudenza in materia di intervento federale nei casi di inadempimento dei precatórios da parte dei governi locali. Secondo il ministro, ancorché non risolva la questione della mancanza di risorse, l’intervento sarebbe un incentivo nei confronti della pubblica amministrazione al rispetto dei propri obblighi. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’intervento federale è subordinato alla prova del dolo e dell’azione deliberata da parte di chi gestisce la cosa pubblica.

‘Nel caso dei precatórios, tale giurisprudenza, benché in modo inconscio, ha finito per alimentare l’inadempienza da parte del potere pubblico’, ha osservato. ‘Il mancato pagamento non doloso del precatório è divenuto una prassi che non comporta costi. Il costo del mancato pagamento, l’intervento federale, che era potenzialmente presente nell’ordinamento brasiliano, è stato completamente azzerato’, ha affermato.   

 

Quando il Ministro Dias Toffoli ha avocato a sé gli atti del processo, i Ministri Luiz Fux, Roberto Barroso e Teori Zavaski si erano già espressi a favore della modulazione nel tempo degli effetti della decisione.

3.2.2. Controllo preventivo: iter parlamentare dei progetti presso il Congresso Nazionale.

Il controllo giudiziale preventivo della legittimità costituzionale dei progetti di legge è tornato, nel 2013, al centro del dibattito presso il Supremo Tribunale Federale. La giurisprudenza della Corte, in merito alla possibilità di eseguire il controllo preventivo, ha solitamente stabilito una distinzione in base alla natura del vizio di costituzionalità presente nel progetto di legge.

 

Nel caso dei progetti legislativi che non seguano l’iter deliberativo stabilito dalla Costituzione Federale, incorrendo così in vizio di costituzionalità formale, il Supremo Tribunale Federale ritiene che dinanzi all’inadempimento palese di norma costituzionale, sia ammessa la sospensione dell’iter parlamentare di approvazione, a condizione che venga richiesta da un membro di una delle camere del Congresso Nazionale.

 

Dall’altro lato, in merito ai vizi di costituzionalità sostanziale che possano intaccare le proposte di legge, il Supremo Tribunale Federale ammette, limitatamente agli emendamenti costituzionali, la possibilità di controllo preventivo di legittimità costituzionale, con la sospensione dell’iter parlamentare delle proposte di emendamento che violino i limiti sostanziali imposti al potere costituente di revisione della costituzione. Il fatto è che, nel determinare tali limiti, il paragrafo 4 dell’art. 60 della Costituzione stabilisce espressamente che “non potranno essere oggetto di deliberazione la proposta di emendamento tendente ad abolire” la forma federativa dello Stato, il voto diretto, segreto, universale e periodico, la separazione dei Poteri e i diritti e le garanzie individuali.

 

Di conseguenza, poiché la Costituzione vieta anche il solo iter parlamentare di tali progetti, il Supremo Tribunale Federale ammette la possibilità che i membri del Parlamento promuovano una misura giudiziale finalizzata alla sospensione di tali procedimenti legislativi, avviando immediatamente il confronto tra la proposta di emendamento e i limiti sostanziali alla revisione costituzionale.

 

Nel caso analizzato dalla Suprema Corte nel 2013, è stato proposto un giudizio denominato mandado de segurança, assimilabile al writ of mandamus del diritto anglosassone, al fine di sospendere l’iter di un progetto di legge e non di una proposta di emendamento alla Costituzione, come normalmente ammesso dalla giurisprudenza del Tribunale. Il giudizio era stato promosso da un Senatore della Repubblica, il quale aveva ritenuto sostanzialmente incostituzionale tale progetto di legge.

 

La proposta contenuta nel progetto di legge all’esame del Senato, scoraggiando il cambio di partito da parte dei parlamentari, inibiva l’istituzione e la fusione di partiti politici, dato che negava loro la possibilità di tener conto dei voti ricevuti ai fini di attribuire alla nuova alleanza, in misura corrispondente ai voti stessi, una maggior durata della propaganda elettorale presso le emittenti radiofoniche e televisive e una maggiore porzione del Fondo destinato ai partiti.  

 

Nell’aprile 2013, l’iter del progetto è stato sospeso mediante un’ordinanza preliminare disposta dal Ministro Gilmar Mendes, giudice relatore del writ. Questi ha sostenuto che il principio di supremazia della Costituzione e l’idea stessa di Stato costituzionale autorizzerebbero eccezionalmente il Supremo Tribunale Federale ad interferire nel processo legislativo con l’obbiettivo di impedire l’esame parlamentare di progetti manifestamente incostituzionali. Dopo aver formulato questa premessa, inerente all’ammissibilità dell’azione, il giudice relatore ha valutato che qualora il progetto di legge fosse stato approvato, avrebbe potuto ledere l’uguaglianza dei parlamentari, oltre a dar luogo a norme contrastanti con la giurisprudenza in materia dello stesso STF, il che sarebbe stato inammissibile.

 

Tuttavia, il 5 giugno 2013, durante la decisione di merito del mandado de segurança, il Plenum del STF ha cassato l’ordinanza preliminare e ha respinto la possibilità di esame preventivo di legittimità costituzionale sostanziale del Progetto di Legge n. 14/2013, ritenendo che il proprio intervento avrebbe violato il principio di separazione dei tre poteri.

 

In tal modo, la Corte ha reiterato l’interpretazione, già adottata in altre occasioni, secondo la quale il Supremo Tribunale Federale può interferire solo nei progetti di legge il cui iter di approvazione parlamentare avvenga nel mancato rispetto del giusto procedimento legislativo. È, quindi, giunta alla conclusione che ostacolare un progetto di legge a causa di ipotetici contenuti di carattere incostituzionale non rientrava tra le proprie competenze. La maggioranza dei ministri ha ritenuto che qualora fosse stata ammessa tale modalità di controllo preventivo, il Potere giudiziario si sarebbe trasformato in un terzo attore dei dibattiti parlamentari, gioco politico a cui non partecipa.

 

Stando così le cose, il Supremo Tribunale Federale avrebbe potuto analizzare il merito della questione solo successivamente alla promulgazione della legge. Dall’altro lato, è stato deliberato che l’unica eccezione ammessa dalla giurisprudenza nazionale è, come si è visto, quella relativa all’ipotesi di emendamento alla Costituzione che violi palesemente i limiti di revisione costituzionale. La Suprema Corte, insomma, ha dato preferenza all’ampio dibattito parlamentare, affinché anche i vizi sostanziali di costituzionalità del progetto di legge possano essere oggetto di un dibattito ampio e pluralista, che potrebbe chiudersi con la correzione dei contenuti del progetto da parte dello stesso Potere legislativo.

 

3.2.3. Concorso tra leggi e separazione dei poteri.

Nel novembre 2013, il Supremo Tribunale Federale ha avuto l’opportunità di esaminare un interessante caso riguardante la possibilità di combinare norme di differenti leggi, con l’obbiettivo di stabilire un regime giuridico più favorevole all’imputato nel contesto delle azioni penali.

 

In occasione del giudizio del Ricorso Straordinario (RE) n. 600.817, in regime di ripercussione generale, il Supremo Tribunale Federale ha deliberato che spetta al giudice della causa l’analisi globale della legislazione ai fini dell’applicazione della normativa più favorevole all’imputato, risultante dal confronto tra due leggi successive nel tempo. È questa la conclusione cui è giunto il dibattito attorno alla nuova Legge sugli Stupefacenti, la Legge n. 11.343/2006, che ha revocato la Legge n. 6.368/1976.

 

La nuova legge, oltre a distinguere la figura del trafficante da quella del consumatore, ha aumentato le pene applicate sino allora per il reato di traffico di stupefacenti. Ha, inoltre, istituito una causa specifica di diminuzione della pena.

 

A partire dall’entrata in vigore della nuova legge, si è aperto il dibattito in merito alla possibilità di applicare, in relazione ai reati commessi durante la vigenza della legge precedente, la pena minore prevista dalla normativa anteriore, combinandola con la causa di diminuzione della pena istituita dalla legge nuova.

 

In occasione della decisione relativa al ricorso presentato da una persona condannata per traffico di stupefacenti, la maggioranza dei ministri della Suprema Corte ha ritenuto che la combinazione di disposizioni inserite in differenti leggi è proibita, poiché creerebbe una terza norma, senza la contestuale approvazione da parte del Potere legislativo.

 

Così, il Plenum della Corte ha reputato che spetta al giudice esaminare caso per caso quale legge sia, nel suo insieme, più favorevole al reo, sotto pena di violazione del principio di separazione dei poteri.

 

3.2.4 Iter delle Medidas Provisórias.

L’attività del legislatore e i limiti del controllo giurisdizionale del procedimento legislativo sono tornarti a far parte dell’agenda del STF, con particolare riferimento alle norme  stabilite dal Potere Esecutivo in casi d’urgenza, mediante decreto. Il Tribunale è stato chiamato a giudicare l’ADI n. 4.029/DF, riguardante la legittimità costituzionale della Legge n. 11.516/2007, derivata dalla conversione in legge della Medida Provisória (MP) n. 366/2007, con la quale era stato istituito l’Instituto Chico Mendes e Biodiversidade (ICMBio), un’agenzia del Governo federale incaricata dell’esecuzione di iniziative previste dalla politica nazionale di conservazione dell’ambiente.  

 

Al centro del dibattito erano presenti l’iter delle medidas provisórias e il contenuto della Risoluzione del Congresso Nazionale n. 1/2002, che aveva dato la possibilità di prescindere, in casi eccezionali, dal parere della commissione parlamentare mista, incaricata, sulla base del paragrafo 9 dell’art. 62 della Costituzione Federale,   della valutazione preliminare di tutte le medidas provisórias in corso, al fine di facilitare il rispetto dei termini dell’iter costituzionalmente previsti.  

 

Nella sessione plenaria del 7 marzo 2012, il Supremo Tribunale Federale ha analizzato la richiesta di controllo di legittimità costituzionale della Legge n. 11.516/2007, formulata poiché la medida provisória dalla quale aveva avuto origine non avrebbe atteso i requisiti di urgenza e rilevanza per la sua emanazione, nonché per la manifesta violazione del procedimento di approvazione presso il Congresso Nazionale, dato che non era stato emesso, entro il termine stabilito, il parere della commissione mista previsto dalla citata norma costituzionale.

 

Così, nonostante la mancanza del parere della commissione mista, la Medida Provisória n. 366/2007 è stata approvata dal Congresso Nazionale e convertita nella Legge n. 11.516/07, poiché si sarebbe inquadrata in uno dei casi eccezionali previsti dalla Risoluzione del Congresso, che consentivano la prosecuzione del contestuale iter legislativo.

 

Il Plenum del STF ha dichiarato incostituzionale l’iter legislativo delle medidas provisórias adottato dal Congresso Nazionale e ha stabilito l’imprescindibilità del parere della commissione mista, nonostante abbia alla fine mantenuto la validità provvisoria della Legge n. 11.516/2007.

 

Il giudice relatore, il Ministro Luiz Fux, ha ritenuto che la Risoluzione n. 1/2002, nel prescindere dal parere della commissione mista e nel consentire, indirettamente, la conversione in legge della medida provisória attraverso un semplice parere individuale di un parlamentare, violasse il paragrafo 9 dell’art. 62 della Costituzione Federale del 1988, come si evince dalle ragioni addotte:

 

“L’importanza delle funzioni svolte dalle Commissioni Miste nel procedimento di conversione in legge delle Medidas Provisórias non può essere svilita. Il Testo costituzionale ha inteso assicurare un dibattito più accurato in merito al testo dell’atto normativo primario emanato dall’Esecutivo,  al fine di evitare che la contestuale analisi da parte dell’assemblea plenaria avvenga in modo inopinato. Si evince, così, che la Commissione Mista, lungi dal rappresentare una formalità di poco conto, assicura che il Potere legislativo svolga un controllo effettivo di questa atipica funzione legiferante esercitata dall’Esecutivo”.     

 

Si rendono necessarie alcune ulteriori considerazioni in merito alla modulazione nel tempo degli effetti della sentenza.

 

Il 7 marzo 2012 (un mercoledì), il Supremo Tribunale Federale ha conferito alla dichiarazione incidentale effetti erga omnes e vincolanti, con effetto retroattivo (ex tunc) della dichiarazione di incostituzionalità degli articoli 5, comma iniziale, e 6, paragrafi 1 e 2 della Risoluzione n. 1/2002 del Congresso Nazionale; tale dichiarazione di incostituzionalità avrebbe riguardato tutte le medidas provisórias, convertite o no in legge. Dall’altro lato, per quanto riguarda specificamente l’Istituto Chico Mendes, la Corte ha in quell’occasione preferito preservarne il funzionamento, stabilendo un termine di 24 (ventiquattro) mesi per l’approvazione di una nuova legge sulla base del corretto iter legislativo.    

 

Si noti che, tuttavia, il giorno successivo al giudizio, ovvero, l’8 marzo 2012 (un giovedì), su richiesta dell’Avvocato Generale dello Stato (AGU), il Supremo Tribunale Federale ha esaminato un’importante mozione d’ordine.

 

L’Avvocato Generale dello Stato ha messo in guardia dal caos istituzionale che la decisione del Tribunale avrebbe comportato, tenuto conto che erano in vigore circa 500 (cinquecento) leggi approvate a seguito della conversione di medidas provisórias emanate sulla base dell’iter ritenuto incostituzionale.  Ha evidenziato l’importanza di alcuni atti normativi, tra i quali le leggi denominate “Ausilio alla Famiglia” e “Mia Casa, Mia Vita” (programmi governativi nel settore sociale), nonché il fatto che un grande numero di medidas provisórias fosse ancora in corso di conversione presso il Parlamento, circostanza che avrebbe potuto causare un grande numero di domande nei confronti della Suprema Corte.

 

Il Supremo Tribunale Federale, in ossequio alla sicurezza giuridica e al fine di preservare tutte le medidas provisórias già convertite in legge fino a quel momento, nonché quelle “ancora” in corso di conversione , ha preferito avviare una revisione della modulazione nel tempo degli effetti, dopo aver constatato che in Brasile l’esame di varie medidas provisórias era avvenuto in modo incostituzionale. Tale circostanza avrebbe senza dubbio comportato una valanga di giudizi sulla legittimità di leggi da molto tempo in vigore.   

 

Per tali ragioni, la Corte ha definito una nuova modulazione nel tempo degli effetti della decisione.

 

In quell’occasione  il Ministro Luiz Fux ha stabilito che “poiché esistono diverse modalità di modulazione degli effetti, la più adatta al caso sub iudice è quella denominata pure prospectivity, che consiste in una tecnica di progresso della giurisprudenza, attraverso la quale ‘il nuovo orientamento si applica a fatti futuri e non alla decisione che ha comportato il superamento dell’orientamento anteriore’”.

 

Il Plenum del STF ha accolto la mozione d’ordine, attribuendo effetto ex nunc alla dichiarazione di incostituzionalità della Risoluzione n. 1/2002 del Congresso Nazionale. Ha mantenuto in vigore le medidas provisórias già convertite in legge senza il parere della commissione mista, nonché quelle in corso di conversione, considerato che si trattava di una prassi usuale adottata dal Parlamento.  

 

   Il parere della commissione mista (previsto nel succitato paragrafo 9 dell’art. 62 della Costituzione Federale del 1988) è divenuto, pertanto, obbligatorio a partire dalla dichiarazione di incostituzionalità della menzionata risoluzione. In altre parole, questo requisito è divenuto obbligatorio solo per le medidas provisórias emanate successivamente, ovvero, per quelle firmate e trasmesse al Congresso Nazionale dopo la sentenza oggetto della presente analisi.  

 

In buona sostanza, nel corso dell’esame della mozione d’ordine dell’8 marzo 2012, la quale ha rappresentato una vera e propria richiesta di riconsiderazione, teoricamente proibita in sede di controllo di costituzionalità in astratto, come espressamente previsto dalle leggi n. 9.868/99 (art. 26) e n. 9.882/99 (art. 12), il Supremo Tribunale Federale ha modificato la decisione proferita il giorno precedente. Ha, infatti, respinto l’incostituzionalità della Legge n. 11.516/07, con la quale era stato istituito l’Instituto Chico Mendes e Biodiversidade (ICMBio), dichiarandola valida, tenuto conto dell’effetto ex nunc della dichiarazione di incostituzionalità degli articoli 5, comma iniziale e 6, paragrafi 1 e 2 della Risoluzione n. 1/2002 del Congresso Nazionale.

 

Durante il dibattito in merito all’ammissibilità della mozione d’ordine, il Ministro Gilmar Mendes ha affermato: “in effetti, la situazione è molto grave, probabilmente una tra le più gravi che si siano mai affrontate, tenuto conto che la sua dimensione va ben oltre la discussione del caso in esame”.    

 

La straordinaria decisione, apparentemente sui generis, è entrata negli annali della Suprema Corte brasiliana e nella storia del controllo di legittimità costituzionale in Brasile.

 

3.3. Garanzie costituzionali nel processo penale.

3.3.1. Azione Penale n. 470: il Processo del “Mensalão”.

Il Supremo Tribunale Federale, nel corso di 53 delle 96 sessioni plenarie realizzate nel biennio 2012-2013, ha giudicato il processo più lungo e complesso della propria storia, il quale è stato seguito intensamente sia dalla società, che dagli organi di informazione. Si tratta dell’Azione Penale n. 470/DF, conosciuta come processo del Mensalão, del quale è stato giudice relatore il Ministro Joaquim Barbosa.

 

Il nocciolo del caso non riguardava questioni di carattere costituzionale, ma nel corso del dibattito sono sorti temi importanti, come la questione della perdita automatica del mandato parlamentare a seguito della condanna penale e quella inerente al doppio grado di giurisdizione.  

 

Erano al centro dell’attenzione il sistema politico brasiliano nel suo complesso, identificato e caratterizzato, purtroppo, da irregolarità e corruzione, la criminalità finanziaria e, infine, l’auspicato cambiamento sociale del modo di far politica in Brasile.

 

Durante il processo c’è stata un’alterazione della composizione della Corte. Nel 2012 sono andati in pensione due ministri che avevano raggiunto il limite dei 70 anni (pensionamento obbligatorio): i Ministri Cezar Peluso e Ayres Britto.

 

Una delle innovazioni introdotte dal giudizio riguarda l’ammissibilità per il reato di riciclaggio del dolo eventuale, che consente la condanna a prescindere dall’intenzione di occultare risorse finanziarie di origine illecita, poiché è sufficiente la mera assunzione del rischio di riciclaggio per configurarne la fattispecie.  

 

A sua volta, la teoria del dominio funzionale del fatto è stata per la prima volta accolta dal STF. Secondo il Tribunale, i manager di istituzioni finanziarie non solo possono, ma devono evitare prestiti fraudolenti, proprio perché detengono il controllo di tale attività (compliance), elemento sufficiente a configurare il reato finanziario.

 

La necessità di prova, da parte delle persone accusate di corruzione attiva e passiva, di aver agito nell’ambito dei rispettivi doveri d’ufficio è stata oggetto di intenso dibattito presso il Tribunale. Alla fine, la dimostrazione dello scopo del vantaggio indebito è stata ritenuta superflua, bastando la mera possibilità di realizzazione dell’atto illegale.   

 

La Suprema Corte ha sottolineato l’importanza delle prove indiziarie, le quali avrebbero potuto essere prese in considerazione a condizione che non fossero l’unica fonte ai fini della formazione del convincimento del giudice, alla luce del principio del libero convincimento motivato.

 

Nell’ultima parte della sentenza, i ministri hanno deciso di attribuire alla Suprema Corte stessa, e non al Parlamento, la decisione circa la perdita del mandato dei parlamentari condannati penalmente. Si è giunti a tale soluzione mediante l’esegesi dell’art. 15, comma III e dell’art. 55, commi IV e VI della Costituzione Federale. È così prevalsa la tesi in base alla quale al Congresso Nazionale spetta appena la dichiarazione della perdita del mandato decisa dalla Suprema Corte e non il contrario, altrimenti ci si troverebbe di fronte a quello che è stato definito “parlamentare carcerato”, una situazione assolutamente inammissibile.   

 

3.3.2 Embargos Infringentes e la possibilità di esecuzione immediata di condanne definitive.

Una delle principali discussioni giuridiche che hanno caratterizzato l’Azione Penale n. 470 nel 2013 riguardava l’ammissibilità del ricorso denominato “embargos infringentes”, modalità di impugnazione riservata alla difesa che presuppone l’esistenza di una sentenza non unanime, nella quale vi siano stati per lo meno quattro voti di minoranza favorevoli al rigetto dell’azione penale. Al termine di un intenso dibattito, il Tribunale ne ha accolto, a maggioranza, l’ammissibilità.

 

La Legge n. 8.038 del 28 maggio1990, che disciplina la procedura dei processi presso il Supremo Tribunale Federale, non ha previsto gli embargos infringentes. Tuttavia, il Regolamento Interno del STF, come modificato dall’Emendamento al Regolamento n. 1 del 25 novembre 1981, prevede espressamente la possibilità di embargos infringentes (art. 333, comma I e paragrafo unico  del Regolamento Interno del Supremo Tribunale Federale).

 

L’art. 333 delle norme regolamentari è entrato in vigore durante la vigenza della Costituzione del 1967, che gli attribuiva forza di legge, sulla base di una norma non più presente nel testo costituzionale vigente.  Da ciò è sorta la discussione circa il mantenimento del ricorso in esame, tenuto conto dell’entrata in vigore della citata Legge n. 8.038.

 

La norma del Regolamento Interno stabilisce la possibilità di impugnazione mediante embargos infringentes in cinque situazioni: 1) condanne penali; 2) richiesta di revisione penale giudicata inammissibile; 3) azione rescissoria; 4) azione di incostituzionalità e 5) decisione sfavorevole all’imputato nel ricorso penale ordinario. Il paragrafo unico fissa i requisiti degli embargos infringentes: “L’ammissibilità degli embargos, nel giudizio in corso presso il Plenum, è subordinato all’esistenza di almeno quattro voti divergenti”.

 

Sei degli undici ministri del Tribunale hanno ritenuto che la norma non era stata revocata dall’entrata in vigore della Legge n. 8.038 del 1990, lasciando spazio alla possibilità di revisione delle condanne inflitte dal STF nel corso dell’emblematico processo del Mensalão.

 

L’orientamento risultato maggioritario di stretta misura ha tenuto conto del fatto che nel 1998 l’allora Presidente della Repubblica Fernando Henrique Cardoso aveva trasmesso al Congresso un disegno di legge con il quale intendeva modificare la Legge n. 8.038/90, con l’obiettivo di sopprimere gli embargos infringentes, ma che tuttavia, non essendo stato approvato il disegno, tale modalità di impugnazione continuava ad essere presente nell’ordinamento.  In quell’occasione, è stato ricordato che tale ricorso era stato ammesso nel contesto di numerose decisioni monocratiche, confermando la validità della norma regolamentare in vigore da oltre trent’anni.

 

Il voto decisivo è stato proferito dal decano della Corte, il Ministro Celso de Mello, che concordando con la posizione divergente inaugurata dal Ministro di recente nomina Luís Roberto Barroso ha accolto l’ammissibilità degli embargos infringentes.

 

Nel voto di Minerva viene affermato: “L’art. 333, comma 1 del Regolamento Interno della Corte, inerente agli embargos infringentes, non è stato, secondo me,  abrogato, tacitamente o indirettamente, dall’entrata in vigore della Legge n. 8.038/1990, la quale si è limitata a disporre in merito a norme puramente procedurali relative alle cause penali di competenza esclusiva”.

 

Nel corso del giudizio è stata sottolineata l’importanza del doppio grado di giurisdizione previsto dal Patto di San José di Costa Rica, sottoscritto dal Brasile.

 

La possibilità di ricorrere mediante embargos infringentes non ha impedito che  gli imputati scontassero immediatamente le pene inflitte con sentenza passata in giudicato e, pertanto, considerate definitive. Per questa ragione, il giudice relatore dell’azione penale, il Ministro Joaquim Barbosa, ha disposto l’esecuzione immediata delle sentenze, con la conseguente reclusione dei condannati prima ancora della chiusura definitiva dell’Azione Penale n. 470.

 

3.4. Diritti Politici.

 

3.4.1 Il Sindaco itinerante.

Un ulteriore interessante precedente del 2012 ha riguardato la discussione sul cosiddetto sindaco itinerante o di professione. Il termine deriva dalla giurisprudenza del Tribunale Superiore Elettorale (TSE) e indica la figura del politico che si candida e viene eletto sindaco in diverse successive occasioni, però, in comuni differenti. Candidandosi in differenti circoscrizioni l’interessato si sottraeva, a priori, al divieto stabilito all’art. 14, paragrafo 5 della Costituzione, che consente un’unica rielezione per gli incarichi di capo del Potere esecutivo. Frattanto, la giurisprudenza è passata a considerare incostituzionale tale prassi, poiché violerebbe le finalità della succitata disposizione costituzionale. Tale interpretazione è stata confermata dal STF, nonostante i voti contrari dei ministri Marco Aurélio e Cezar Peluso, i quali hanno sostenuto la tassatività delle ipotesi di ineleggibilità. La Corte ha deciso di modulare nel tempo gli effetti della decisione pronunciata dal TSE, attribuendole carattere prospettico.    

 

3.4.2 La Legge della Fedina Penale Pulita.

La cosiddetta “Legge della Fedina Penale Pulita” (la Legge Complementare n. 135/2010, che ha modificato la Legge Complementare n. 64/90), la quale ha regolamentato l’art. 14, paragrafo 9 della Costituzione Federale, è stata presentata in Parlamento su iniziativa popolare. Sottoscritta da oltre 1 milione e 600 mila cittadini, è stata approvata con l’obbiettivo di introdurre nuove ipotesi di ineleggibilità nel sistema elettorale brasiliano a tutela della probità nella pubblica amministrazione e per la concretizzazione del principio di moralità nell’esercizio di un incarico politico in Brasile. A tal fine, la legge ha stabilito criteri di valutazione della vita pregressa dei candidati alle elezioni.

 

Il 16 febbraio 2012 il Supremo Tribunale Federale è stato chiamato a pronunciarsi in merito alla costituzionalità sostanziale della “Legge della Fedina Penale Pulita” e alla possibilità di applicarla anche a fatti anteriori all’entrata in vigore. La discussione si è incentrata sul principio di presunzione di innocenza, stabilito dal comma LVII dell’articolo 5 della Costituzione Federale.

 

La normativa costituzionale brasiliana stabilisce che la legge che introduca modifiche alle norme elettorali debba entrare in vigore almeno un anno prima delle elezioni generali; tale circostanza è indicata dalla dottrina come principio dell’annualità elettorale. Tenuto conto che la Legge della Fedina Penale Pulita è stata promulgata il 4 giugno 2010, le norme in essa contenute non sono state applicate alle elezioni svoltesi nell’ottobre dello stesso anno.  

Il Plenum ha deliberato a maggioranza, dichiarando legittima la Legge Complementare n. 135/2010. È stato deciso che la normativa si sarebbe dovuta applicare anche ai casi precedenti all’entrata in vigore della legge, purché nel rispetto del requisito in base al quale le condanne per condotte elettorali illegali o per illegalità commesse nella pubblica amministrazione, ancorché non passate in giudicato, fossero state proferite da un collegio giudicante.

 

È prevalso l’orientamento secondo il quale la legge non aveva violato il principio di presunzione di innocenza, dato che la materia trattata non era di natura penale. È stato consentito che la condizione di ineleggibilità fosse verificata al momento della presentazione della candidatura, occasione in cui si sarebbero potuti prendere in considerazione anche fatti occorsi prima dell’entrata in vigore della legge; al riguardo è stato osservato che non esisterebbe alcun diritto acquisito all’eleggibilità.

 

Contro tale possibilità di applicazione retroattiva della legge, si sono manifestati i Ministri Gilmar Mendes, Marco Aurélio, Celso de Mello e Cezar Peluso, i quali hanno ritenuto incostituzionale la possibilità di determinare effetti negativi in conseguenza di fatti occorsi in precedenza, poiché tale circostanza violava il principio di irretroattività.  

 

L’esito del processo ha, inoltre, impedito ai politici cassati e a quelli che avevano rinunciato al mandato parlamentare per sfuggire alla cassazione di concorrere alle elezioni. L’ineleggibilità dura 8 anni con decorrenza, dipendendo dal caso concreto, dalla decisione, dalla data di elezione, dall’aver scontato la pena (in caso di condanna penale) o dalla fine del mandato alla carica, alla quale il candidato sia stato eletto in violazione della normativa elettorale.

 

In virtù della decisione, le norme della Legge della Fedina Penale Pulita hanno trovato applicazione in occasione delle elezioni comunali svoltesi nel mese di ottobre 2012, alterando in modo significativo le dinamiche del procedimento elettorale brasiliano.

 

  1. Conclusioni.  

Le sentenze presentate in sintesi in questo studio, relativo al biennio 2012-2103, indicano la presenza di due evidenti tendenze nell’ambito della giurisprudenza del Supremo Tribunale Federale.

 

In primo luogo, emerge un orientamento della giurisprudenza del Supremo Tribunale Federale tendente a far passare l’idea che le decisioni della Corte su temi polemici e socialmente delicati coincidano con l’opinione pubblica. È per tale motivo che in quel periodo i Ministri si son fatti guidare dalle aspirazioni presenti nella società, la quale auspicava, per esempio, la condanna delle persone coinvolte nel Mensalão, sosteneva in modo veemente l’applicazione della Legge della Fedina Penale Pulita e appoggiava le attese, in tema di diritti, dei soggetti socialmente e economicamente vulnerabili.

 

Il Tribunale ha, perciò, assunto un ruolo di spicco nel processo politico-istituzionale brasiliano, suscitando critiche da parte della dottrina di diritto costituzionale in merito al suo nuovo indirizzo, etichettato come militante.

 

In tale contesto, la seconda tendenza è concomitante alla crisi istituzionale decorrente dagli scontri sempre più frequenti tra il Potere legislativo e quello giudiziario. Tale confronto istituzionale è occorso sia a causa dell’operato controcorrente della Suprema Corte su temi spesso evitati da parte dei parlamentari, come, per esempio, l’aborto, sia per il fatto che essa ha inteso disciplinare prassi tipicamente legislative, fino allora considerate come atti interna corporis e, per questo, estranee alla sua giurisdizione; tale disciplina è stata così associata a un processo giustizialista.

 

Infine, è importante ricordare che pur avendo affrontato i succitati temi, gli anni 2012 e 2013 sono stati segnati dal processo del Mensalão che, come si è detto, ha impegnato altre il 55% delle sessioni plenarie del STF durante il biennio.

 

Si è trattato, pertanto, di un periodo atipico, durante il quale la scarsa produzione giurisprudenziale è stata compensata da un’esposizione mediatica senza precedenti nella storia della Suprema Corte, che ha sottoposto le decisioni di quest’ultima a un ampio dibattito in seno alla società brasiliana, ben al di là dei soli circoli giuridici.

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